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LA SCOMPARSA

Ciampi, il primo dei “tecnici” in aiuto alla politica

É passato un quarto di secolo e forse l’analisi storica deve ancora scrivere molte pagine per interpretare quei primi anni '90 che hanno visto l’Italia alla deriva dal profilo politico, economico e sociale. La scomparsa di Carlo Azeglio Ciampi, a cui va dato un riconoscimento di gratitudine, è l’occasione per ricordare quegli anni. 

Editoriali 17_09_2016
Carlo Azelio Ciampi

É passato un quarto di secolo e forse l’analisi storica deve ancora scrivere molte pagine per interpretare quei primi anni Novanta del secolo scorso che hanno visto l’Italia alla deriva dal profilo politico, economico e sociale. La scomparsa di Carlo Azeglio Ciampi, a cui va dato un riconoscimento di gratitudine molto al di là della tradizionale retorica dei tradizionali elogi funebri, può essere l’occasione per ricordare quegli anni in cui la politica ha scritto le proprie pagine più drammatiche e in cui la società è sembrata sul punto di essere travolta dal terrorismo mafioso.

Erano gli anni di Tangentopoli, dell’offensiva della magistratura contro un sistema politico che aveva costruito la propria sopravvivenza alimentando il circuito perverso tra economia e politica. Dal 17 febbraio del 1992, con l’arresto di Mario Chiesa, colto sul fatto mentre intascava una mazzetta come presidente del Pio Albergo Trivulzio, è stato un continuo susseguirsi di indagini, arresti, ammissioni che sono arrivate a coinvolgere i responsabili dei grandi partiti, in particolare la Democrazia cristiana e il Partito socialista, minandone alla base credibilità e consensi.

E nel maggio di quell’anno l’assassinio a Palermo,del giudice Giovanni Falcone, seguito a luglio da quello di Paolo Borsellino, aggiungevano benzina sul fuoco delle tensioni sociali e della sfiducia verso la politica. Sul fronte economico era altrettanto complessa con il governo Amato costretto a varare una manovra di fine d’anno da 93mila miliardi per fronteggiare la speculazione che aveva trovato nella lira un facile obiettivo, una manovra che era stata peraltro preceduta in luglio dal famoso (o famigerato) decreto con cui si ordinava un prelievo forzoso dei sei per mille sui conti correnti di tutti gli italiani «in una situazione di drammatica emergenza per la finanza pubblica».

È in questo drammatico scenario che nell’aprile del ’93 il presidente Oscar Luigi Scalfaro affida l’incarico di formare il nuovo governo a Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia, sicuramente l’autorità più prestigiosa e di garanzia di fronte allo sfaldamento dei partiti e dei tradizionali esponenti politici. È  stata quella di Ciampi una scelta dettata dalla sua visione della politica non come potere, ma come servizio al Paese, non come superiorità ideologica, ma come necessità di valorizzare tutte le forze economiche e sociali.

L’esempio di Ciampi, chiamato poi al ministero del Tesoro dai governi Prodi e D’Alema e, nel 1999 alla presidenza della Repubblica, eletto al primo scrutinio, ha aperto la strada a quell’indispensabile recupero di fiducia nelle potenzialità dell’Italia che ha portato all’adesione alla moneta unica, ma è stato anche l’inizio di un affiancamento dei “tecnici” chiamati a posizioni di responsabilità. Per esempio, Lamberto Dini, anch’egli da direttore generale della Banca d’Italia, chiamato nel 1994 a succedere a Silvio Berlusconi, azzoppato dai giudici e dalla Lega dopo pochi mesi dalla sua vittoria elettorale. 

E poi ancora, sempre provenienti dalla Banca d’Italia, i ministri dell’economia, Tommaso Padoa Schioppa, nel governo Prodi dal 2006, e Fabrizio Saccomanni, nel governo Letta dal 2014. Anche l’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è un economista prestato alla politica dato che il suo ultimo incarico è stato quello di segretario generale dell’Ocse. Il senso di queste nomine, proprio partendo da quella di Ciampi, è stato e rimane quello di offrire, di fronte alla debolezza della politica, una garanzia di serietà e di rigore verso la realtà internazionale, non solo verso i mercati che comunque restano fondamentali per un Paese, come l’Italia, che ha il terzo debito pubblico del mondo collocato per oltre un terzo presso istituzioni estere.

Ciampi ha saputo interpretare al meglio questa necessità con una visione per nulla sottomessa a  poteri esterni, ma volta a consolidare l’immagine dell’Italia nelle sue forti capacità di rispondere anche nelle situazioni più difficili. In Ciampi l’identità nazionale è sempre stato un punto di forza, così come la necessità di muoversi con sano pragmatismo di fronte ai condizionamenti politici. Con un forte rispetto per le istituzioni che bisogna servire e di cui non bisogna servirsi.  Una lezione da cui la politica, quella attuale, ha ancora molto da imparare.