«Chiesa perseguitata e discriminata»
Il Papa nel discorso al Corpo Diplomatico è tornato a parlare delle persecuzioni e delle discriminazioni nei confronti dei cristiani.
Il 9 gennaio Benedetto XVI ha pronunciato l'annuale discorso per la presentazione degli auguri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Si tratta del principale appuntamento diplomatico dell'anno in Vaticano, e il Pontefice ci ha abituato in queste occasioni a discorsi molto coraggiosi, in cui cita per nome e cognome i Paesi che non rispettano la libertà religiosa e i diritti dei cristiani.
Anche quest'anno il Papa ha voluto insistere sulle persecuzioni e discriminazioni che colpiscono i cristiani in molti Paesi, un'emergenza planetaria che purtroppo, oltre a Benedetto XVI, non sono in molti a denunciare. Come aveva fatto l'anno scorso in occasione dello stesso discorso al Corpo Diplomatico, il Pontefice ha deplorato la diffusione di nozioni riduttive della libertà religiosa. Per essere genuina, questa dev'essere «caratterizzata da una dimensione individuale, come pure da una dimensione collettiva e da una dimensione istituzionale. Si tratta del primo dei diritti umani, perché essa esprime la realtà più fondamentale della persona. Troppo spesso, per diversi motivi, tale diritto è ancora limitato o schernito».
Il Papa ha indicato tre modi di violare la libertà religiosa e i diritti dei cristiani. Il primo è quello della vera e propria persecuzione, talora con numeri da genocidio. Nell'anno 2011, in cui ho svolto la funzione di Rappresentante per la lotta al razzismo e all'intolleranza e discriminazione contro i cristiani dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) ho più volte citato il dato statistico secondo cui ogni anno muoiono per la loro fede nel mondo circa 105.000 cristiani, un morto ogni cinque minuti. La voce del Papa si è levata anzitutto per «salutare la memoria del ministro pachistano Shahbaz Bhatti, la cui infaticabile lotta per i diritti delle minoranze si è conclusa con una morte tragica. Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato».
Oltre al Pakistan, il Pontefice ha citato il Sudan e il Sud Sudan, ora indipendente, dove purtroppo segnali incoraggianti hanno ceduto il passo a nuove violenze. In quella regione, ha detto il Papa, «tensioni e scontri si sono succeduti in questi ultimi mesi ed auspico che tutti uniscano i loro sforzi affinché, per le popolazioni del Sudan e del Sud Sudan, si apra infine un periodo di pace, di libertà e di sviluppo». Né è mancato un accenno alla gravissima «recrudescenza delle violenze che interessa la Nigeria, come hanno ricordato gli attentati commessi contro varie chiese nel tempo di Natale». E il Pontefice ha menzionato anche gli «strascichi» della guerra civile in Costa d'Avorio e l'instabilità della Somalia, dove in assenza di un vero governo bande ultra-fondamentaliste islamiche attaccano spesso i cristiani.
Ma suscitano la preoccupazione di Benedetto XVI anche i Paesi delle cosiddette primavere arabe: non solo la Siria, dove il conflitto è ancora in corso e desta «una grande preoccupazione», o la Palestina sempre tormentata, ma anche gli Stati dove dittature che erano state al potere per molti anni sono cadute. Per la prima volta, il Papa ha dichiarato con franchezza che ci sono ragioni per mettere in dubbio i facili ottimismi delle prime ore. Il Papa ha ribadito l'analisi proposta nel viaggio in Bénin, secondo cui le rivolte sono nate in modo spontaneo dal disagio giovanile: «i giovani, che soffrono tra l’altro per la povertà e la disoccupazione e temono l’assenza di prospettive certe, hanno lanciato quello che è diventato un vasto movimento di rivendicazione di riforme e di partecipazione più attiva alla vita politica e sociale».
Ma, se è stata spontanea l'origine, più difficile è valutare gli esiti. «È difficile attualmente tracciare un bilancio definitivo dei recenti avvenimenti e comprenderne appieno le conseguenze per gli equilibri della Regione. L’ottimismo iniziale ha tuttavia ceduto il passo al riconoscimento delle difficoltà di questo momento di transizione e di cambiamento, e mi sembra evidente che la via adeguata per continuare il cammino intrapreso passa attraverso il riconoscimento della dignità inalienabile di ogni persona umana e dei suoi diritti fondamentali». Non si può più essere troppo ottimisti, di fronte in particolare a nuove gravissime violazioni dei diritti delle minoranze cristiane. «Il rispetto della persona dev’essere al centro delle istituzioni e delle leggi, deve condurre alla fine di ogni violenza e prevenire il rischio che la doverosa attenzione alle richieste dei cittadini e la necessaria solidarietà sociale si trasformino in semplici strumenti per conservare o conquistare il potere. Invito la Comunità internazionale a dialogare con gli attori dei processi in atto, nel rispetto dei popoli e nella consapevolezza che la costruzione di società stabili e riconciliate, aliene da ogni ingiusta discriminazione, in particolare di ordine religioso, costituisce un orizzonte più vasto e più lontano di quello delle scadenze elettorali». Le elezioni non risolveranno magicamente tutti i problemi, e forse talora ne creeranno di nuovi.
Un secondo aspetto della persecuzione dei cristiani è la cosiddetta pulizia religiosa, oggi più grave della pulizia etnica. In Paesi dove le minoranze cristiane sono troppo numerose per essere semplicemente sterminate, esse «subiscono attacchi violenti contro le loro chiese e le loro abitazioni». Lo scopo non è uccidere tutti i cristiani - sono troppi - ma terrorizzarli in modo che siano «costretti ad abbandonare Paesi che essi hanno contribuito a edificare, a causa delle continue tensioni e di politiche che non di rado li relegano a spettatori secondari della vita nazionale». Antiche cristianità come quella dell'Iraq rischiano di morire per un'emigrazione indotta dal terrore degli attentati. È questo lo scopo del terrorismo, talora non combattuto con sufficiente energia dagli Stati e anche da certe istituzioni religiose non cristiane, come il Pontefice ha ricordato nel recente discorso di Assisi, qui esplicitamente richiamato.
Ma - il Papa lo ricorda costantemente - c'è anche una terza dimensione dell'intolleranza e discriminazione contro i cristiani, che coinvolge molti Paesi del nostro Occidente. «In altre parti del mondo, si riscontrano politiche volte ad emarginare il ruolo della religione nella vita sociale, come se essa fosse causa di intolleranza, piuttosto che contributo apprezzabile nell’educazione al rispetto della dignità umana, alla giustizia e alla pace». In Europa, in particolare, la Chiesa è attaccata attraverso l'emarginazione, il dileggio e il ridicolo che colpisce soprattutto il suo insegnamento morale. Il Pontefice ha ricordato ancora una volta il diritto e il dovere della Chiesa di proclamare i tre principi non negoziabili - vita, famiglia e libertà di educazione - senza essere dileggiata, emarginata o impropriamente accusata d'ingerenza negli affari degli Stati.
La Chiesa, ha detto il Papa, tanto più nel corso di una crisi economica che deriva in realtà da una crisi morale, continuerà senza farsi intimidire a proclamare che «la famiglia, fondata sul matrimonio di un uomo con una donna [...] non è una semplice convenzione sociale, bensì la cellula fondamentale di ogni società» e che «le politiche lesive della famiglia minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità». Il Papa ha accolto «con soddisfazione la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che vieta di brevettare i processi relativi alle cellule staminali embrionali umane, come pure la Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che condanna la selezione prenatale in funzione del sesso». Ma ricorda come continuino a opporsi «al futuro dell’umanità le misure legislative che non solo permettono, ma talvolta addirittura favoriscono l’aborto, per motivi di convenienza o per ragioni mediche discutibili». Infine, la Chiesa chiede «politiche formative affinché l’educazione scolastica sia accessibile a tutti e che, oltre a promuovere lo sviluppo cognitivo della persona, curi la crescita armonica della personalità, compresa la sua apertura al Trascendente»: sia nella scuola pubblica sia nelle scuole cattoliche, il cui contributo dev'essere «riconosciuto e valorizzato anche dalle legislazioni nazionali».
Perché questo avvenga, l'Europa deve smettere di negare le sue radici cristiane. «Sono fiero di ricordare - ha detto il Papa -, come ho fatto nel mio Paese natale, che per i Padri costituenti della Germania la visione cristiana dell’uomo è stata la vera forza ispiratrice, come, del resto, lo è stata per i Padri fondatori dell’Europa unita». Ancora una volta Benedetto XVI ringrazia l'Italia per avere ottenuto in sede di appello una «sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in favore della presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche italiane», e ricorda la buona collaborazione con il nostro Paese in campo diplomatico per la difesa dei cristiani perseguitati. Ma troppi altri Paesi si comportano diversamente.
Il Pontefice ha incontrato i diplomatici «alla fine delle festività natalizie, in cui la Chiesa celebra la venuta del Salvatore. Egli viene nel buio della notte, eppure la sua presenza è immediatamente fonte di luce e di gioia (cfr Lc 2,9-10). Davvero il mondo è buio, laddove non è rischiarato dalla luce divina! Davvero il mondo è oscuro, laddove l’uomo non riconosce più il proprio legame con il Creatore e, così, mette a rischio anche i suoi rapporti con le altre creature e con lo stesso creato». Contro l'oscurità di un mondo che si è allontanato da Dio, la Chiesa propone il prossimo Anno della Fede, che non è affatto estraneo alla tematica politica e diplomatica. La fede infatti «ci insegna che la vita non finisce nel nulla, che il suo destino non è la corruzione, bensì l’immortalità. Cristo è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10,10). Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Animata dalla certezza della fede, la Santa Sede continua a dare il proprio contributo alla Comunità internazionale, secondo quel duplice intendimento che il Concilio Vaticano II – di cui quest’anno ricorre il 50° anniversario – ha chiaramente definito: proclamare la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, nonché offrire all’umanità una cooperazione sincera, che instauri quella fraternità universale che corrisponde a tale vocazione».