Chiesa luterana e Onu insieme contro famiglia e vita
Un documento congiunto di Chiesa di Svezia e Fondo Onu per la Popolazione (Unfpa) teorizza la conciliazione tra fede cristiana e "nuovi diritti": contraccezione, aborto, unioni gay, educazione sessuale fin dall'infanzia. E non manca l'attacco alla Chiesa cattolica, che necessita «un forte sostegno per spingere al cambiamento».
Una singolare alleanza per fare pressione sui leader religiosi e convincerli che non c’è incompatibilità tra la fede e i nuovi “diritti umani” propagandati oggi, quali contraccezione, aborto, educazione sessuale fin dall’infanzia e riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Come riporta Rebecca Oas di C-Fam, una ong impegnata a difesa della vita nascente e della famiglia naturale, gli alleati in questione sono il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), che ha tra i suoi obiettivi il controllo delle nascite (celato dietro la più ampia e vaga espressione “diritti sessuali e di salute riproduttiva”), e la Chiesa di Svezia, che con i suoi sette milioni di membri - stando alla cifra dichiarata sul proprio sito - è la seconda confessione luterana più numerosa al mondo.
L’alleanza si è perfezionata in occasione di un recente evento in terra svedese, denominato “Donne, fede e diritti umani”, al termine del quale è stato pubblicato un documento congiunto in cui l’Unfpa ringrazia Antje Jackelen, la prima arcivescovo donna della Svezia, per la sua “saggia leadership, guida e supporto attraverso l’intero processo”.
Se fino a pochi anni fa i vertici dell’Unfpa consideravano la religione uno dei più grandi ostacoli alla diffusione dei diritti sessuali così concepiti, si capisce come la sponda offerta dalla Chiesa di Svezia risulti molto gradita ai funzionari dell’Onu. Va da sé che il fine principale di questa alleanza è tentare di condizionare la Chiesa cattolica, per trascinarla in quel processo di relativizzazione della morale che in Occidente è in corso da tempo.
Nel 1994, alla Conferenza internazionale su Popolazione e Sviluppo organizzata dall’Onu al Cairo, i tentativi di creare un “diritto all’aborto” come metodo di pianificazione familiare e di ridefinire il concetto di famiglia naufragarono grazie alla strenua opposizione di Giovanni Paolo II, che in vista della Conferenza scrisse una lettera ai capi di Stato di tutto il mondo per denunciare le ambiguità e i rischi insiti nel documento preparatorio, raccogliendo soprattutto il decisivo consenso dei Paesi poveri che sarebbero stati i più colpiti dalle politiche di controllo delle nascite come si andavano definendo già allora.
Nel frattempo, la secolarizzazione ha continuato il suo corso e i suoi effetti sono particolarmente evidenti proprio in Svezia, dove la Chiesa luterana sostiene l’aborto legale e dal 2009 celebra i “matrimoni” omosessuali. Il tutto in un contesto nazionale tra i meno religiosi del mondo, che dovrebbe far riflettere chi crede che la Chiesa debba adattarsi alle mode e ai costumi della società: nel Paese scandinavo, appena il 2% dei luterani dichiara di andare regolarmente in chiesa e solo il 15% crede in Gesù (dati che dimostrano come più il cristianesimo si allontana da Cristo e dalla missione che ha affidato alla Chiesa, a custodia della fede e della morale, più il suo messaggio diventa insignificante e perde la sua forza d’attrazione).
Viste queste premesse, dunque, non stupisce che nel report dell’Unfpa, redatto con la supervisione della Jackelen e di altri importanti esponenti del luteranesimo svedese, si critichi la Chiesa cattolica e in particolare la relazione finale del Sinodo sulla famiglia, che ribadisce il magistero di sempre sull’aborto e sulle unioni omosessuali. Un magistero a difesa della dignità e natura della persona umana che non piace ai partecipanti alla conferenza svedese, tanto che Julie Clague, docente di Teologia, alla fine del suo intervento critico contro le posizioni cattoliche scrive: “È necessario un forte sostegno per spingere al cambiamento”, chiedendo tra l’altro che le donne e i laici prendano parte ai processi decisionali interni alla Chiesa.
Che la famiglia naturale sia un ostacolo rispetto agli obiettivi dell’Unfpa, risulta chiaro in un altro passaggio del documento in cui si afferma che “ci sono alcune voci che stanno attivamente sfidando l’agenda dei diritti dell’Onu. Tra di esse ci sono coloro che richiedono alle Nazioni Unite di adottare il concetto di «famiglia naturale»”. Richieste che sono del tutto in linea con l’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, secondo cui “la famiglia è la naturale e fondamentale cellula della società ed è meritevole di protezione da parte della società e dello Stato”: un concetto, questo, ribadito da una risoluzione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu (in cui si riconosce che la famiglia è “l’ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e specialmente dei bambini”), approvata a luglio grazie all’attivismo del mondo pro-family e nonostante le proteste delle associazioni Lgbt e abortiste, a conferma di come una parte importante della battaglia si giochi proprio all’interno degli organismi delle Nazioni Unite.
Il grimaldello per scardinare la difesa della vita e della famiglia naturale è appunto la promozione dei “diritti sessuali e di salute riproduttiva”, che la Chiesa di Svezia approva apertamente anche in un altro documento, il quale sorprende per un aspetto: l’asserita necessità di molti di questi “diritti” (tra cui rientrano il riconoscimento dell’identità di genere secondo la visione Lgbt e l’aborto legale) viene giustificata non certo con riferimenti biblici (del resto, sarebbe impossibile trovarne), bensì con numerosi richiami a un rapporto dell’International Planned Parenthood Federation (Ippf), la multinazionale degli aborti che nei soli Stati Uniti fattura oltre un miliardo di dollari all’anno. Sicuri che i “nuovi diritti” siano compatibili con la fede?