Chiedetegli se sono felici. Rispondono 47 genitori
Ogni famiglia conserva in sé una grande sfida, non quella di allontanare ogni possibile fatica e sofferenza, ma trovare una strada per camminare a testa alta e con il cuore lieto nell’avventura della vita tutta intera. Che questo sia possibile lo dice il libro La fatica e la gioia, a cura di Cattaneo, Cristofari e Palmieri.
«Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice lo è a modo suo». Lev Tolstoj – al principio di uno dei suoi romanzi più famosi - ebbe a dire, a suo modo, una grande verità. Perché se è vero che il quadretto della famigliola-tutta-sorrisi, con i bimbi biondi e il cagnetto che scodinzola, è uno stereotipo da spot pubblicitario, la realtà delle famiglie, quelle vere, è fatta di molto altro.
É fatta per esempio di molti sacrifici, di fatiche grandi o piccole e di tanto, tanto impegno. E, sovente, non è risparmiata dall’avvento del dolore e dalla sofferenza. Nella vita delle famiglie l’abbraccio fa coppia con il litigio, le lacrime di gioia si scambiano con quelle del dispiacere, i sentimenti più rosa, a tratti, si tingono di grigio. In famiglia c’è chi arriva e chi se ne va, la salute può cedere il passo alla malattia e si fa festa per i nuovi arrivi, ma tocca anche dire addio. Una visione troppo negativa? Niente affatto: è questa la vita. E la famiglia è vita all’ennesima potenza, in tutti i suoi aspetti. Per questo, ogni famiglia che nasce contiene e mantiene in sé una grande sfida: la vera sfida non sta nell’allontanare ogni possibile fatica e sofferenza da sé e dai figli, ma nel trovare insieme una strada per camminare a testa alta e con il cuore lieto nell’avventura della vita tutta intera.
Che questa strada esista, che questa strada sia possibile nella gioia come nel dolore e che sia “per sempre”, è il tema centrale del libro La fatica e la gioia, edizione Cantagalli, a cura di Cattaneo, Cristofari e Palmieri. In realtà più che di un libro si tratta della vita messa su carta di 47 famiglie. Sono famiglie tutte diverse tra loro, con storie di vita a volte opposte e che pure non si conoscono le une con le altre, ma che, insieme, diventano testimoni di un fatto straordinario: l’amicizia con il Signore come centro, strada e meta del loro cammino insieme. Un’amicizia concreta e vissuta giorno per giorno. Un’amicizia in cui si svela il destino di felicità che attende ognuno di noi: oggi, domani e per sempre.
Ci sono storie di famiglie numerose, anzi numerosissime. Come quella di Alberto e Giuseppina con i loro dodici figli o quella di Sacha e Cristina che di pargoli ne hanno dieci. E poi ancora, Emanuele e Renata che si sono “fermati” a otto. Nei loro racconti si tocca con mano cosa significa che il matrimonio e l’apertura alla vita siano una cosa sola e che fidarsi della Divina Provvidenza è un fatto possibile, per davvero. Leggere per credere, cosa dice uno di loro, Emanuele: «Non ricordo un momento in cui ci siamo aperti alla vita, come si dice spesso, forse in questo consiste l’anomalia delle famiglie numerose. Semplicemente non ci siamo mai chiusi, non abbiamo mai trovato un valido motivo per aspettare. Goderci la vita e rimandare un figlio, frutto della nostra unione, non aveva alcun senso».
E poco dopo aggiunge: «La provvidenza esiste e lavora alla grande: lo fa con discrezione, con rispetto dei caratteri e dei limiti di ognuno. Le scelte complicate come i momenti brutti o difficili diventano quasi sempre nuove opportunità. Come il brutto momento del fallimento nel lavoro (con otto figli!) che mi ha costretto, alla fine di un lungo percorso di tentativi e fatiche, a “consegnare” tutto al mio santo preferito. La mia famiglia si è stretta intorno a me con tanta semplicità e con così tanto cuore da rendere inopportuna ogni altra preoccupazione ed anzi, fino a trasformare un possibile dramma in una nuova e diversa opportunità».
Ci sono famiglie in cui il dono dei figli si moltiplica e quelle in cui questo dono pare sia tolto ingiustamente. Così il nobile desiderio, come natura comanda, di diventare madri e padri sembra trasformarsi solo in arida sofferenza. Eppure, Fabio racconta: «Ringrazio Dio per il nostro matrimonio (con Paola, ndr) perché non è successo praticamente niente di quello che ci eravamo immaginati e programmati all’inizio. Appena sposati desideravamo che la nostra famiglia si allargasse, da subito abbiamo cercato i figli, ma questi non arrivavano». Così al posto del figlio desiderato arriva la sofferenza e il dolore per la mancanza.
Poi un giorno due amici della coppia che appartengono alla realtà delle Famiglie dell’Accoglienza, propongono ai coniugi di ospitare una bambina. «Quella sera», racconta Fabio, «mentre tornavamo in macchina ci siamo resi conto che da qualche giorno avevamo finito la novena a San Pampuri per chiedere la grazia di un figlio. Ci è venuto da sorridere e da commuoverci perché quello che era successo era esattamente la risposta alla nostra domanda. Veramente la misura di Dio è un’altra misura rispetto alla nostra. Così abbiamo iniziato a diventare padre e madre non con un figlio “nostro”, ma con quello che ci stava dando il Signore: una bimba marocchina di due anni e mezzo».
Da quel momento Fabio e Paola non hanno mai smesso di fare della loro casa un luogo di accoglienza straordinaria: ora nella loro famiglia ci sono due figli in affido: un ragazzo albanese di 15 anni, una ragazzina rumena di 11 anni; c’è un figlio di 13 anni, adottato quando ne aveva otto e poi, sono arrivati anche i figli “naturali”: una bimba di tre anni e un’altra appena nata. «Lasciare la nostra misura ed essere pronti ad accogliere quella di un Altro», dice Fabio, «è la grande salvezza della nostra vocazione matrimoniale».
Ecco la testimonianza di Rosi, moglie di Marco e mamma di Anna e Sofia (9 anni) e Gabriele (otto anni). Gabriele cresce sano e forte sino circa a sei anni, poi nel suo sviluppo accade un fatto che i medici non si spiegano ancora oggi. Nel giro di nove mesi, il piccolo progressivamente smette di parlare, perde completamente il sorriso e la voglia di vivere, non ha più alcun interesse verso nessun gioco (tranne uno o due che iniziano a ossessionarlo), verso tutti gli altri - compresi i suoi genitori - e verso la vita. «I medici», racconta mamma Rosi, «lo hanno chiamato autismo. Un vero e proprio tsunami che ha travolto e stravolto la nostra vita felice, serena, ricca di pace e speranza nel futuro. Sono cominciati mesi di vero calvario per il nostro piccolo angelo tra medici e ospedali». E il calvario del figlio diventa anche il calvario della madre che è tormentata notte e giorno dalla domanda: «Perché proprio a noi?».
Poi smette di chiederselo: «Ho imparato ad amare senza chiedere nulla in cambio, trovare la pace in quella che tutti chiamano tribolazione, la luce in quello che gli altri chiamano buio, il calore in mezzo al gelo del silenzio, la presenza di Dio in quello che altri chiamano assenza e abbandono di Dio». Ma è davvero possibile tutto questo? «Questa è la mia vita», dice Rosi, «il mio segreto è la preghiera! Il Signore mi ha chiamato a qualcosa di grande, mi ha chiesto di diventare quello che sono, quello per cui mi ha creato: una donna forte, costantemente al servizio di chi soffre la tortura terribile di voler parlare senza riuscirci, una donna al Suo servizio». Ecco cosa significa la fatica e la gioia della famiglia cristiana: un’unità in cui tutto diventa possibile, perché se poco è possibile all’uomo, nulla è impossibile a Dio.