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TESTIMONIANZE

Chi sono gli uiguri?

Islam e petrolio bastano e avanzano alla Cina per perseguitare da sempre questa etnia trurcofona

Cultura 31_12_2010
uiguri

 

Il loro nome significa "alleati". Sono gli uiguri, una popolazione turcofona a stragrande maggioranza musulmana composta da 56 gruppi etnici diversi che, originaria dei territori formanti l’attuale Mongolia, vive nelle regioni nordoccidentali di quello smisurato e inquietanti universo repressivo che è la Cina neopostcomunista di Hu Jintao. La provincia cinese che ne conosce oggi la maggiore concentrazione demografica è lo Xinjiang, noto anche come Turkestan Orientale, sulla carta una regione autonoma, ma ben si sa cosa questa espressione-foglia-di-fico significhi per i regimi totalitari. Nulla. Nello Xinjiang gli uiguri costituiscono la maggioranza relativa della popolazione locale, circa il 46%, e vivono fianco a fianco ai cinesi han, ovvero l’etnia più diffusa in tutta la Cina. Ma è un fuoco d’artificio, vale a dire il risultato di una massiccia, aggressiva e pluriennale politica di colonizzazione forzata, progettata, voluta e implementata da Pechino nello schema più classico e pervicace del dirigismo violento di Stato.
Gli uiguri sognano legittimamente l’indipendenza da tempo.

Durante la guerra civile cinese degli anni 1930, che alla fine si trasformò in una colossale quanto tracotante vittoria dei comunisti di Mao Zedong (1893-1976), gli uiguri riuscirono a creare la Prima Repubblica del Turkestan Orientale, era il 1934, indipendente e sovrana, presto rifusa nella Seconda Repubblica del Turkestan, che però soccomberà subito ai rossi, venendo inglobata dalla Repubblica Popolare Cinese nello stesso 1949 in cui Mao ne proclamò la nascita. Da allora è la triste, consueta storia di tutte le minoranze etniche, culturali e religiose vive (per quanto?) sul suolo cinese, il Tibet, i Falun Gong o i cattolici, vessati, perseguitati, torturati e ammazzati davanti agli occhi chiusi del mondo intero, che, gnorri, continua a riversare nelle casse degli aguzzini pechinesi miliardi e miliardi in valute forti.

Dalla parte degli uiguri stanno solo, ovvio, le forze politiche e culturali panturche attive nell’Asia Centrale e i correligionari islamici. L’islam, del resto, è un punto nodale. Se dici uiguro, dici infatti maomettano, ma ciò non significa confondere quella ingiustamente vessata popolazione turca con lo jihadismo terroristico attivo in altre parti del mondo. Non vi è traccia di tradizione estremista tra gli uiguri, né di ultrafondamentalismo molesto. Almeno fino a oggi, oggi che il rischio vero è che proprio le politiche discriminatorie e persecutorie messe in atto dai comunisti al potere a Pechino accendano scintille nuove e imprevedibili. Del resto, il governo cinese ha colto subito la palla al balzo e, dopo l’Undici Settembre, ha usato la fede islamica degli uiguri come scusa indebita per stringere la morsa.

Ma se non fosse tragico verrebbe da ridere: la Pechino che ogni anno manda a morte per “reati controrivoluzionari” migliaia di persone senza che mai sventoli una sola bandiera di pacifisti e abolizionisti; la Pechino che commercia gli organi umani delle proprie vittime innocenti; la Pechino dei più di mille laogai in cui si produce a costi bassissimi merce, spesso pure contraffatta, frutto di lavoro schiavistico e pronta a distruggere le economie occidentali; la Pechino della turpe "politica del figlio unico", cioè l’aborto coatto imposto alle coppie dopo la nascita del primogenito che pure prevede sterilizzazioni, torture, incarceramenti e banchetti a base di placente; ecco, questa Pechino qui può davvero ergersi a giustiziere internazionale, a paladino della democrazia, a castigamatti del terrorismo?