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DE MAGISTRIS

Chi di giustizia (politica) ferisce...

L'ex magistrato datosi alle politica e diventato sindaco di Napoli, una volta indagato e condannato in primo grado attacca gli ex colleghi a testa bassa. E comunque rifiuta di lasciare il suo incarico. La sua vicenda, dopo la fine politica di Di Pietro e di Ingroia, è l'ennesima dimostrazione della magistratura politicizzata.

Politica 29_09_2014
De Magistris

Chi di giustizia (politica) ferisce di giustizia (politica?) perisce. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, lo ricordiamo, è stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio a 15 mesi di reclusione (pena sospesa) dalla decima sezione penale del tribunale di Roma.

I fatti contestati risalgono al 2007, quando De Magistris era pm a Catanzaro e conduceva l’indagine Why not sull’uso di fondi pubblici per la formazione professionale in Calabria, delegando al poliziotto e consulente informatico Gioacchino Genchi (pure lui condannato) l’acquisizione di tabulati telefonici. Tra questi, i dati di otto utenze telefoniche riconducibili a parlamentari e personaggi politici di primo piano (tra cui Prodi, allora premier, e Mastella, allora ministro della Giustizia). Secondo la Procura di Roma che ha istruito il processo, De Magistris e Genchi violarono la legge che tutela la riservatezza dei parlamentari, acquisendo i loro dati telefonici (chi, quando e per quanto tempo ha chiamato ed è stato chiamato, non il contenuto delle conversazioni) senza la prescritta autorizzazione delle Camere. A conclusione del dibattimento, la Procura aveva chiesto l’assoluzione di De Magistris e la condanna di Genchi. Il tribunale ha condannato entrambi.

La legge Severino, approvata come decreto legislativo dal governo Monti alla fine del 2012, è la stessa applicata dal Senato un anno fa per sancire la decadenza di Silvio Berlusconi in seguito alla condanna penale definitiva per frode fiscale. Il caso De Magistris è diverso: la sua condanna non è definitiva,visto che l'ex magistrato (che ha lasciato la toga per entrare in politica) ha già annunciato ricorso in appello. Ma la legge Severino prevede (articolo 11, comma 1) la "sospensione di diritto" per i sindaci che "hanno riportato una condanna non definitiva" per una serie di reati tra cui, appunto, l’abuso d’ufficio. In questo caso dev'essere il prefetto, ricevuta notizia della sentenza dalla cancelleria del tribunale e accertata la "sussistenza della causa di sospensione", a renderla operativa. Ieri il prefetto di Napoli, Francesco Antonio Musolino, ha dichiarato di aspettare gli atti dalla Procura di Roma prima di decidere. Gli arriveranno nei prossimi giorni. La pena per De Magistris risulta sospesa, in attesa dei successivi gradi di giudizio, per cui non è certo che la sua sospensione dall'incarico arrivi. Ma alcuni precedenti non giocano a favore del battagliero primo cittadino partenopeo: altri sindaci sono stati condannati in primo grado e sono stati subito sospesi dalle funzioni.

La sospensione, lo ricordiamo, può durare al massimo diciotto mesi. Il sindaco viene "congelato", ma la giunta non cade. Resta in carica il vicesindaco, che a Napoli è Tommaso Sodano, della Federazione della Sinistra, anch'egli però indagato per abuso d'ufficio in un'altra inchiesta. De Magistris può opporsi facendo ricorso al Tar affinché ribalti la decisione del prefetto ed eventualmente può chiedere di sollevare una questione di costituzionalità (la Costituzione prevede la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva). Se entro i 18 mesi la Corte di appello lo assolve, De Magistris torna in carica. Se conferma la condanna, scatta una nuova sospensione di ulteriori 18 mesi in vista della sentenza della Cassazione e in quel caso De Magistris non potrebbe ricandidarsi alle amministrative del 2016 (scadenza naturale), cosa che peraltro intende fare, come ha annunciato più volte. Se nel periodo di sospensione la sentenza di condanna divenisse definitiva, De Magistris decadrebbe e si scioglierebbe il Consiglio comunale.

Politicamente, il sindaco di Napoli è isolato. Sceso in campo con l’Italia dei Valori, mollò ben presto il partito di Antonio Di Pietro. Per un periodo ha ipotizzato la creazione di un movimento personale. Poi ha aderito alla lista Rivoluzione Civile guidata da Antonio Ingroia, ex pm come lui, condividendo un fallimentare esito elettorale nel 2013. Lo stesso Ingroia in queste ore, pur ritenendolo innocente, gli ha suggerito di fare un passo indietro. Stesso consiglio gli ha dato il suo amico Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità nazionale anti-corruzione. Ma l’Anm, l'Associazione nazionale magistrati (i suoi ex colleghi, visto che dopo l’elezione a sindaco De Magistris ha lasciato la toga), ha reagito con fermezza alle affermazioni del primo cittadino, che ha parlato di "sentenza politica" e ha chiesto ai magistrati di Roma, che l'hanno condannato, di dimettersi, in quanto "corrotti e collusi". L'Anm, per bocca del suo presidente, Rodolfo Sabelli, ha censurato la reazione di De Magistris: «Il sindaco di Napoli con le sue parole non critica solo le toghe che lo hanno condannato ma esprime disprezzo nei confronti della magistratura intera».

L'ex magistrato che guida il capoluogo campano ha convocato nei giorni scorsi una conferenza stampa pronunciando un discorso incendiario, annunciando ricorso in appello contro la sentenza di condanna e anticipando che renderà pubblici gli atti giudiziari dell'inchiesta a suo carico. Ma il mondo politico è tutto schierato contro di lui, non solo gli esponenti del centro-destra. A chiedere le sue dimissioni è stato per primo l'ex sindaco di Napoli, Bassolino: «De Magistris ha portato la città al collasso, l'ha distrutta e ha perso i nervi. È finito. Meglio elezioni subito». Perfino il presidente del Senato, Pietro Grasso (un altro ex pm) è stato lapidario: «La legge Severino va applicata anche a De Magistris». Per non dire degli esponenti del Pd, di ieri e di oggi. Arturo Parisi, prodiano storico, non ha dubbi: «L'inchiesta Why not servì solo all'allora pm De Magistris per procurarsi visibilità». E Pina Picierno, astro nascente dei Democratici, rincara: «De Magistris dovrebbe dimettersi non tanto per questa condanna ma per i danni che ha procurato alla città di Napoli». Duro anche Niki Vendola, governatore della Puglia: «De Magistris mi ha deluso». Il Movimento Cinque Stelle non ha dubbi: «Il sindaco deve dimettersi, è inadeguato».

Si sta dunque concludendo ingloriosamente anche la carriera politica di De Magistris, ennesimo ex magistrato che scende in politica e si dimostra peggiore dei politici di professione. Non mancano i precedenti, da Di Pietro a Ingroia. Ma a destare maggiore scalpore è l'attacco frontale di De Magistris ai suoi ex colleghi. Troppo comodo tuonare contro la magistratura quando ti condanna quando invece hai fondato le tue fortune politiche proprio sul giustizialismo e sulla difesa corporativa dei giudici. Ora il sindaco di Napoli è privo di un partito di riferimento (era stato eletto in nome della "rivoluzione arancione", dopo aver lasciato l'Italia dei Valori, che lo aveva lanciato in politica). Senza sponsor è rimasto un uomo solo al comando, e chissà per quanto tempo. Venderà cara la pelle fino all'ultimo, punterà sulle scintille contro tutto e tutti. Ma l'epilogo della sua fallimentare esperienza amministrativa è la riprova dell'inadeguatezza delle ex toghe in politica. E, nel caso specifico, la condanna di De Magistris è sacrosanta perché ci ricorda che nelle intercettazioni sono stati commessi tanti abusi, che è giusto punire. L'ascolto di telefonate private è stato un importante e utilissimo strumento nelle mani dei pm per scoprire reati gravissimi, ma anche un espediente con cui settori della magistratura inquirente hanno ricattato e tenuto sotto scacco la politica e il mondo dell'impresa e delle professioni. Una riforma s'impone, per evitare altri abusi. C'è da augurarsi che il caso De Magistris non rimanga isolato e possa stimolare un provvidenziale riequilibrio tra poteri e contribuire a  ristabilire un corretto rapporto tra giustizia e politica.