Chi critica la magistratura paga E a caro prezzo
Una brillante penna del giornalismo italiano, Piero Ostellino, ex editorialista del Corriere della Sera, ora passato a Il Giornale, dovrà versare 20.000 euro ciascuno a quattro dei cinque giudici della sezione feriale della Cassazione. Ostellino aveva in un articolo criticato una loro sentenza su Berlusconi.
Una notizia che è praticamente passata sotto silenzio e che invece dovrebbe seriamente far riflettere sul patologico squilibrio di poteri nella nostra democrazia riguarda un giornalista condannato per diffamazione dal Tribunale civile di Milano.
Fin qui sembrerebbe una delle tante sentenze contro giornalisti che si fanno un po’ prendere la mano e travalicano i confini del diritto di cronaca e di critica, ledendo l’onore e la reputazione dei protagonisti dei fatti. In questo caso, però, c’è dell’altro. Una brillante penna del giornalismo italiano, Piero Ostellino, ex editorialista del Corriere della Sera, ora passato a Il Giornale, dovrà versare 20.000 euro ciascuno a quattro dei cinque giudici della sezione feriale della Cassazione che il primo agosto 2013 avevano confermato, rendendola definitiva, la condanna a 4 anni di carcere, tre dei quali coperti da indulto, per Silvio Berlusconi, imputato per frode fiscale nel processo sul caso Mediaset.
Il 4 settembre 2013, una settimana dopo il deposito delle motivazioni di quel verdetto contro l’ex premier, Ostellino, in un articolo dal titolo “Quella sentenza e i doveri di uno Stato”, scrisse che i giudici avrebbero dovuto ricorrere «alla costruzione di una nuova fattispecie di reato, l’”ideatore di reato”, per poter condannare Berlusconi», poiché, a detta del giornalista, le ragioni della decisione erano di carattere esclusivamente politico.
«L’accusa di strumentalizzare la funzione di giudice a scopi politici», si legge nella recentissima sentenza del Tribunale civile di Milano, «non può ritenersi utile alla formazione di una consapevole opinione pubblica, che in tal modo diviene inerte destinataria soltanto di pericoloso e fuorvianti opinioni personali, consistenti in attacchi del tutto gratuiti, che contribuiscono solo a ledere l’integrità della funzione giudiziaria e non possono ritenersi giustificate dall’esercizio dell’invocato diritto di critica». I giudici milanesi hanno ribadito che «accusare la magistratura di agire per scopi politici, in assenza di prove rigorose di quanto affermato, costituisce un’offesa che lede l’onore e la reputazione dei magistrati e che no può ritenersi scriminata dall’esercizio del diritto di critica».
Ammesso e non concesso che Ostellino si sia lasciato prendere la mano e sia andato giù pesante con le parole, tacciando esplicitamente di faziosità e politicizzazione i magistrati della sentenza Berlusconi, occorre ragionare sui parametri di bilanciamento tra diritti della personalità e libertà di stampa. Chi si straccia le vesti a ogni presunto o reale vulnus alla libertà d’informazione sta tacendo colpevolmente all’indomani di questa sentenza, che fa pendere la bilancia in favore di una categoria, quella dei magistrati, rigidamente inflessibile quando viene colpita da critiche al suo operato.
La Corte Suprema americana, già in una causa degli anni Sessanta, stabilì, in un caso simile, che i danni per un’affermazione diffamatoria eventualmente falsa relativa alla condotta di un pubblico ufficiale potrebbero essere chiesti solo riuscendo a dimostrare che quella affermazione sia stata fatta con dolo o con la consapevolezza della sua falsità. Nel caso Ostellino, invece, le argomentazioni che il giornalista espone a supporto del proprio punto di vista, condivisibili o meno, confermano la sua buona fede. Peraltro, nel 2009 una sentenza della Cassazione penale assolse i media che richiamarono opportunamente l’attenzione dell’opinione pubblica sulla gravità delle conseguenze dell’operato della magistratura, quando una decisione errata incide sulla libertà dei cittadini.
Esiste indubbiamente una discrezionalità del giudice nel valutare, caso per caso, la liceità delle critiche mosse da un giornalista a una toga, soprattutto in ragione delle modalità espressive e dei concetti espressi. Tuttavia, rimane una condizione di favore, quella dei magistrati, considerato il fatto che a giudicare delle eventuali diffamazioni nei loro confronti sono sempre i colleghi. E non basterebbe dare seguito alla proposta, formulata da taluni, di trasferire i processi rispetto alla sede dove il giudice coinvolto esercita il suo ruolo.
Occorrerebbe un collegio speciale per giudicare le cause per diffamazione che vedono coinvolti i magistrati come potenziali soggetti lesi. Altrimenti, il rischio che si ripetano altri casi Ostellino rimane altissimo. Nel silenzio assordante di quei “soloni” del giornalismo, sempre pronti a gridare al bavaglio e alla censura e oggi indifferenti all’ennesima prova dello squilibrio tra poteri nel nostro Paese, con una magistratura che spesso svolge compiti di supplenza politica, azzerando lo spirito critico di chi prova a contestarne la correttezza.