Che tempismo, Maroni torna in politica: rinviato a giudizio
Sarà un caso ma proprio mentre Maroni ufficializza la sua volontà a candidarsi a sindaco di Varese, ecco che viene nuovamente “attenzionato” dalla magistratura, che lo rinvia a giudizio per induzione indebita e turbata libertà per la scelta di un consulente a lui legato da relazione affettiva. Lui si difende dicendo che la nomina avvenne quando non era più governatore, ma l'intervento della Giustizia stupisce per la tempistica e nel merito. Dove finisce l’autonomia di un Governatore nella scelta di un consulente e dove inizia la violazione di legge? E’ l’ennesima conferma di quanto sia sbilanciato in favore della magistratura il rapporto tra i diversi poteri dello Stato e di come spesso siano i giudici ad orientare le vicende politiche nazionali, regionali e locali.
E’ sempre difficile dimostrare una connessione tra episodi apparentemente privi di legame alcuno. Tuttavia, quando c’è di mezzo la giustizia, il dubbio è lecito e bisogna quanto meno sospendere il giudizio in attesa di altre conferme. Succede che Roberto Maroni, dopo aver rinunciato a ricandidarsi alla guida della Regione Lombardia, nel 2018, e aver richiesto l’iscrizione all’Ordine degli avvocati per riprendere ad esercitare la professione, decide di fare marcia indietro e di rientrare in politica.
Da giorni si parla addirittura di un’investitura del centrodestra come candidato sindaco di Milano, ma in realtà ieri il diretto interessato ha fatto sapere di voler correre come sindaco di Varese, sua città natale e, soprattutto, città simbolo del Carroccio delle origini.
Sarà un caso ma proprio in queste ore Maroni viene nuovamente “attenzionato” dalla magistratura, che lo rinvia a giudizio per induzione indebita e turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. La vicenda è legata a un contratto di cui ha beneficiato l’architetto Giulia Capel Badino in Ilspa (Infrastrutture lombarde spa). Il processo inizierà il 2 dicembre alla IV sezione penale di Milano.
L’ex Governatore lombardo non è mai stato coinvolto nelle indagini sui 49 milioni di finanziamenti pubblici alla Lega spariti nel nulla ma è già stato condannato a un anno di reclusione in appello (si attende la sentenza definitiva della Cassazione) nel procedimento per presunte pressioni per favorire una sua ex collaboratrice, Mara Carluccio, che già lavorava con lui quando era Ministro dell’Interno e che era stata assunta a Eupolis, ente regionale.
Per quanto riguarda invece il rinvio a giudizio deciso due giorni fa, secondo il capo d’imputazione, Maroni «abusando della sua qualità di vertice dell’ente regionale nonché dei suoi poteri», avrebbe fatto pressione sull’allora direttore generale di Ilspa, Guido Bonomelli «affinchè conferisse un incarico pubblico all’architetto Capel Badino», legato al Governatore da una relazione affettiva.
Dura la reazione dell’ex Presidente della Regione Lombardia, che nega ogni responsabilità: «Andare a processo per un fatto in cui non c’entro nulla mi fa sentire vittima di una vera ingiustizia, come purtroppo accade troppo spesso. Ma lo le spalle larghe, ne ho passate tante e supererò anche questa ennesima ingiustizia. E non intendo rassegnarmi: bisogna tornare a lottare per una giustizia giusta». E precisa: «Sono stato rinviato a giudizio perché da Governatore avrei favorito l’assegnazione di una consulenza professionale da parte di Ilspa. E’ falso: l’incarico fu assegnato dalla società regionale in data 27 aprile 2018, quando io da oltre due mesi non ero più il Governatore. La società – scrive Maroni in un post su Facebook - agì dunque in piena autonomia, conferendo un affidamento diretto “sotto soglia” in modo assolutamente regolare: per quel tipo di incarico la legge non prevede alcuna procedura di gara».
La vicenda suggerisce alcune riflessioni. Anzitutto sul momento di questo rinvio a giudizio. E’ casuale che arrivi proprio quando Maroni decide di rituffarsi nell’agone politico? Tutte le risposte sono plausibili perché non ci sono prove né dell’una né dell’altra ipotesi. Certo è che in Italia troppo spesso le iniziative giudiziarie prestano il fianco alle accuse di giustizia a orologeria. E anche questa volta il tempismo appare a dir poco sospetto.
In secondo luogo destano perplessità, in questo come in altri casi, i capi d’imputazione (induzione indebita e turbata libertà), che richiamano norme di incerta applicabilità. Sembrano scritte per consegnare alla discrezionalità delle toghe le chiavi della politica italiana. Tanto quanto le norme sul traffico di influenze illecite, esse finiscono per allargare lo spazio di manovra dei giudici, poiché diventa difficile delimitare il confine tra l’attribuzione di un incarico diretto nel rispetto della legge e l’abuso commesso nella individuazione dell’incaricato. Sembra che chi indaga possa sempre aggrapparsi a qualcosa per rinviare a giudizio chi si è mosso in autonomia nell’assegnazione di un incarico, perché crede nelle competenze del professionista incaricato e perché vuole accelerare la procedura in nome dell’efficienza dell’ente. Sul concetto di pressioni indebite si potrebbe a lungo disquisire, ma dove finisce l’autonomia di un Governatore nella scelta di un consulente e dove inizia la violazione di legge? Con le leggi in vigore diventa davvero difficile tracciare una linea di confine. E’ l’ennesima conferma di quanto sia sbilanciato in favore della magistratura il rapporto tra i diversi poteri dello Stato e di come spesso siano i giudici ad orientare le vicende politiche nazionali, regionali e locali.