Che fare con l'Islam? La dottrina sociale dia risposte
La Dottrina sociale della Chiesa è chiamata in questa fase a svolgere un nuovo compito: la presenza dell’islam in Europa. Come studiarlo? Partendo dal volto di Dio e non passando dall'antislamismo al laicismo. Una via originale. Ecco alcuni spunti.
La Dottrina sociale della Chiesa è chiamata in questa fase a svolgere un nuovo compito. Non mi sembra che la cosa sia avvertita e per questo mi prendo la briga di segnalarla. La presenza dell’islam in Europa, sia nella forma del fondamentalismo terroristico, sia nella forma della conquista per via demografica e culturale sostenuta dai fenomeni immigratori, sia per gli investimenti di alcuni Paesi arabi e soprattutto l’Arabia Saudita, è destinata entro breve tempo a creare una situazione esplosiva che molti osservatori, a dire il vero, preannunciano inascoltati da molto tempo.
Ora, di fronte a questa situazione la Dottrina sociale della Chiesa deve assumersi il nuovo compito di valutare l’islam dal punto di vista politico e dire se esso sia compatibile con una società dalle caratteristiche che essa propone. Questo lavoro finora la Chiesa non l’ha ancora fatto, anzi non l’ha nemmeno iniziato. È in corso un dialogo interreligioso con l’islam. Su di esso qui non mi pronuncio, noto solo che è altra cosa rispetto alla valutazione dell’islam dal punto di vista politico. Il dialogo religioso è di tipo pastorale o, anche se ambiguamente, di tipo teologico, ma non concerne l’islam politico in rapporto alla visione cattolica della vita sociale e politica. L’islam è studiato poi da alcune specifiche discipline, come la teologia delle religioni, ma anche in questo caso l’ambito è molto diverso.
Tutti vediamo che l’islam porta con sé una visione dello Stato, dei diritti umani, della donna, della famiglia, del rapporto tra sacro e profano, della morale e del diritto, dell’economia e della politica, del ruolo pubblico della religione e della democrazia. Tutti vediamo che quando entrano in Italia immigrati di religione mussulmana non entra solo una religione ma una civiltà, un blocco unico di concezioni dentro cui si colloca anche l’islam politico. Tutti vediamo che ormai in molti Paesi d’Europa si sono formati – e ancor più si formeranno in futuro – partiti politici islamici che daranno rappresentanza e concretezza alle concezioni politiche dell’islam. Tutti vediamo che si tratta di concezioni molto diverse rispetto a tante che circolano in occidente. Qualcuno dice che sono talmente diverse da impedire l’integrazione. Il tempo stringe, ma i cattolici non si sono ancora mossi su questa strada utilizzando la Dottrina sociale della Chiesa.
Quando si decideranno a farlo (ammesso che si decidano, superando la loro attuale ideologia scioccamente integrazionista), a mio avviso dovranno tenere presente due aspetti fondamentali.
Il primo è di non perdersi nelle questioni periferiche ma andare al nocciolo, ossia al volto di Dio nell’islam, tutto il resto ne deriva in modo molto coerente. Per questo dovranno tornare alla lezione di Benedetto XVI a Regensburg. Il Dio dell’islam è assolutamente trascendente, egli supera ogni categoria umana che non gli si può applicare nemmeno in via analogica. Egli non è una essenza ma una volontà e non è tenuto a rispettare nessuna legge razionale. Egli non parla all’uomo se per “parlare” all’uomo si intende esprimere una verità ed entrare in una relazione dialogica. Egli emette i suoi dettami e non chiede all’uomo di consultarsi con se stesso nel valutarli. Egli, del resto, li ha comunicati non guardando ad un suo Logos ma in modo imperscrutabilmente oscuro. Nell’islam non si può parlare di una morale naturale né di un diritto naturale. Bene è ciò che è prescritto da Dio tramite il Corano e il suo Profeta, male è quanto è vietato. La morale ha una essenza religiosa e legalistica. La legge civile si fonda sulla sharia, la legge islamica, e sul fiqh, il diritto islamico. Dovendo quindi – auspicabilmente – valutare l’islam politico alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, è da qui che si dovrà cominciare: dal volto di Dio.
Il secondo aspetto da tenere presente consisterà nel non confondere il modello di società occidentale con quanto proposto dalla Dottrina sociale della Chiesa. Se non dovesse fare questa distinzione, il cattolico impegnato su questo fronte rischierebbe di schierare la Dottrina sociale della Chiesa al servizio del liberalismo occidentale. Dato che l’islam spesso associa occidente e cristianesimo, sarebbe prestare il fianco. Prendiamo per esempio i diritti umani. L’islam ha una visione molto diversa da quella che prevale oggi in occidente. Ma anche la Dottrina sociale della Chiesa ne ha una molto diversa. Non si deve quindi criticare la padella della visione islamica dei diritti umani per cadere nella brace della visione nichilista occidentale dei diritti umani. Possiamo fare anche l’esempio della laicità. Questo concetto è ignoto all’islam, ma anche la Dottrina sociale della Chiesa non sposa per niente – anche se così oggi molti credono – la visione sostanzialmente atea della laicità come neutralità dagli assoluti morali e religiosi. Sarebbe un errore contraddire l’islam rivendicando un concetto di laicità che non è poi quello cattolico ma è quello illuminista.
Il confronto dei cattolici con l’islam ha quindi bisogno dell’utilizzo della Dottrina sociale della Chiesa, intesa come un corpus organico di verità sulla convivenza umana da applicarsi con rigore conoscitivo e valutativo, senza sconti sull’altare di una integrazione vuota di contenuti.