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LO SCANDALO

Chatgate, la politica estera Usa in una chat

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Una chat come tante, ma stavolta si discute su come e se bombardare gli Houthi nello Yemen. E i partecipanti sono i vertici degli Usa. La chat finisce sul The Atlantic ed esplode il caso. I veri offesi sono gli europei, trattati da scrocconi.

Editoriali 27_03_2025
Interrogazione alla Camera su Chatgate (La Presse)

Un nuovo scandalo alla Casa Bianca. Lo chiamano Signalgate, o Chatgate. In una chat su Signal, la app di messaggistica ritenuta più sicura di Whatsapp e di Telegram, i vertici degli Stati Uniti discutevano niente meno che dei raid sullo Yemen del 15 marzo, per colpire gli Houthi, i terroristi filo-iraniani che dalla fine del 2023 stanno conducendo atti di pirateria contro il traffico mercantile nel Mar Rosso.

Nell’elenco dei partecipanti alla discussione online c’erano praticamente tutti tranne Trump: il vicepresidente JD Vance, il segretario di Stato Marco Rubio, il Segretario alla Difesa Peter Hegseth, il Consigliere alla Sicurezza Nazionale Michael Waltz, la direttrice dell’Intelligence Nazionale Tulsi Gabbard, il direttore della Cia John Ratcliffe… Ma anche un giornalista. Anzi, il direttore della rivista The Atlantic, Jeffrey Goldberg. Inizialmente pensava fosse uno scherzo. Poi quando ha visto che, il 15 marzo, quei piani di attacco venivano implementati per davvero e secondo la scaletta temporale descritta da Hegseth, si è reso conto di essere finito (per errore?) nel bel mezzo di una discussione fra i veri vertici degli Stati Uniti. The Atlantic ha atteso più di una settimana, per le verifiche necessarie, poi ha pubblicato una prima tranche di messaggi. Accusato di aver mentito (Hegseth sosteneva di non aver mai pubblicato i piani), Goldberg ha pubblicato anche una seconda tranche, con i messaggi contenenti i piani militari dettagliati.

Lo scandalo Chatgate è foriero di molte lezioni. La prima è che i vertici della prima potenza del mondo discutono delle più drammatiche decisioni da prendere con la leggerezza con cui un gruppo di amici parla di fantacalcio. La seconda è che l’amministrazione Trump, di fronte a una fuga di notizie di questa gravità, non ha saputo correre ai ripari. Prima ha negato, poi ha minacciato neanche troppo velatamente The Atlantic, poi ha ammesso ma sminuendo le conseguenze, infine, di fronte alla seconda rivelazione (con i dettagli dei piani), è tornata al punto 1: negare tutto. Il colpevole, o almeno chi si è assunto la responsabilità della fuga di informazioni, è il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Waltz, che, nel governo, è uno fra quelli che hanno maggiore esperienza, con una lunga carriera alle spalle. Resta da capire se questa incredibile fuga di notizie sia avvenuta per errore, per un atto di spionaggio o sia stata intenzionale, per lanciare messaggi ad amici e nemici senza assumersene la responsabilità.

Perché, questo è l’aspetto più importante, il contenuto della chat è un avvertimento agli europei. In uno degli scambi di battute che hanno preceduto il raid aereo sullo Yemen, JD Vance si dice contrario, perché un’azione militare nel Mar Rosso «sarebbe incoerente con il messaggio che vogliamo lanciare agli europei». Il vicepresidente fa notare che nel Canale di Suez passa appena il 3% del traffico marittimo statunitense, mentre il 40% è destinato all’Europa. I termini nei confronti degli alleati del Vecchio Continente non sono gratificanti: “scrocconi” ci definisce Vance, “patetici” ribatte Hegseth che dice di condividere “l’insofferenza” del vicepresidente nei nostri confronti. Alla fine, un anonimo funzionario dell’amministrazione chiamato con le sigle MS afferma che Trump abbia “dato luce verde” all’attacco. Però ha anche chiesto di comunicare «chiaramente a Egitto ed europei che cosa vogliamo in cambio» e che «dobbiamo pensare al modo con cui dar seguito a queste richieste. Perché, se l’Europa non dovesse darci nulla in cambio, allora che facciamo?».

Nella sostanza (non nelle percentuali, sulle quali viene corretto da Waltz), Vance ha ragione: l’Europa è la più interessata alla navigazione nel Canale di Suez, ma ha sempre lasciato che fossero gli americani a intervenire per ripulire la rotta dalla pirateria degli Houthi. Resta scorretto, oltre che molto sgradevole, sentir dire dall’amministrazione Trump che dobbiamo “dare qualcosa in cambio”, come se l’alleanza con gli Usa fosse un servizio privato. Alla domanda se consideri gli europei degli “approfittatori”, il presidente degli Usa ha risposto: «Vuoi davvero che risponda? Sì, credo che siano stati degli approfittatori». E, per altro, non è diverso da quel che diceva di noi anche Barack Obama. Solo una sfumatura di differenza: il presidente democratico ci definiva “free rider”, Trump “free loader” che è più volgare, ma significa sempre che siamo approfittatori, scrocconi.

Ma ad offendersi sono stati gli inglesi. Che sono stati tutt’altro che “approfittatori”. Hanno partecipato a tutte le guerre americane, compreso lo Yemen, dove hanno condotto raid contro gli Houthi fin dall’inizio della campagna aerea, al fianco degli Stati Uniti. Dopo la pubblicazione dei messaggi in chat, militari inglesi hanno iniziato a postare le foto sui social network dei commilitoni caduti in Afghanistan e in Iraq. Ben Wallace, ex segretario britannico alla Difesa, conservatore, in un editoriale al vetriolo, sul The Telegraph scrive: «I messaggi trapelati alla stampa rivelano chi siano realmente i membri della squadra di Trump. Pensano che il bullismo sia leadership, che gli alleati siano clienti e che il commercio sia una guerra. Questo può suonare bene in un autogrill del Midwest, ma nelle menti dei nostri nemici è una grande occasione». Sul Daily Star, tabloid popolare, in prima pagina appare il volto di JD Vance e il titolo recita: È lui l’uomo più pericoloso del mondo?

Non si era mai vista tanta collera nei confronti degli americani da parte degli inglesi. Alla fine dell’imbarazzante vicenda della chat rimarrà questa ferita: aver contribuito ad allentare ancora di più la “relazione speciale” fra i due alleati dell’anglosfera.