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Chaput, il "conservatore creativo" conquista Filadelfia

Intervista a mons. Charles J. Chaput, neoarcivescovo sessantaseienne francescano cappuccino la cui famiglia ha origini "indiane". La sua pastorale, la sua teologia, la sua fede.

A volte, la nomina di un nuovo vescovo nella Chiesa cattolica non è altro che una manutenzione ordinaria di uno status consolidato, l'assegnazione di un posto atto ad oliare gli ingranaggi della Chiesa. Altre volte, si tratta di risolvere un problema specifico, o dare un segnale ad un gruppo particolare. Ogni tanto, però, la scelta di un nuovo vescovo indica la direzione imboccata dalla Chiesa, e la persona che la condurrà a destinazione.

È ciò che è successo il 19 luglio con la decisione di Papa Benedetto XVI di nominare Charles Chaput come il nuovo Arcivescovo di Filadelfia, scegliendo il sessantaseienne francescano cappuccino per presiedere una delle principali diocesi cattoliche americane, e probabilmente, gettando le basi per farne un membro del Collegio Cardinalizio.

Da una parte, il messaggio che Papa Benedetto XVI ha voluto inviare con la nomina di Chaput ha dimostrato la volontà di dare alla città di Filadelfia un leader saldo e diretto per affrontare la crisi degli abusi sessuali. L'arcidiocesi è stata scossa da un rapporto del gran giurì a febbraio, che ha portato alla sospensione di ventiquattro sacerdoti e all'incriminazione di un ex-funzionario dell'Arcivescovado.

Nel corso degli anni, Chaput si è presentato come un solerte capitano, manovrando una nave in mezzo ad una tempesta, come qualcuno disposto a sfidare qualunque disonestà o trasgressione, senza paura o favoritismi.

Dall'altra, la nomina di Chaput incarna la direzione imboccata della Chiesa cattolica negli Stati Uniti. Fino a una decina di anni fa, la maggior parte delle persone attente agli affari della Chiesa considerava lo schietto Chaput un pò troppo accentratore, troppo palesemente identificato con l'ala conservatrice della Chiesa, per poter essere chiamato a ricoprire uno dei posti più ambiti del Paese.

Ovviamente, non è più così. Secondo Benedetto XVI, non è il consenso a indirizzare la scelta, ma la chiarezza e il coraggio - chiarezza nel promuovere la dottrina cattolica, e coraggio nel difenderla. Anche se, come persona, è visto come una figura incredibilmente poco clericale, Chaput non è secondo a nessuno per la sua ortodossia tenace.
Quelli che seguono sono brani tratti da un'intervista con Chaput in occasione della sua nomina a Filadelfia.

Lei sa quali saranno probabilmente i titoli dei giornali: "Il Papa nomina un arci conservatore alla guida di Filadelfia," o "un integralista conquista la Chiesa di Filadelfia". Lei è veramente un arci-conservatore e un integralista?
In  realtà, non mi vedo per niente come un conservatore. Cerco di essere fedele alla dottrina della Chiesa, come la Chiesa ce l'ha tramandata. Io non credo, come cristiano o come vescovo, di avere il diritto di giocare con la tradizione apostolica della Chiesa. Spero di essere creativo e contemporaneo, applicando tuttavia quell'insegnamento e quella vita strutturale alla Chiesa locale.
Per quanto riguarda l'essere un 'integralista, penso che le persone che mi conoscono, i miei sacerdoti e tutti gli altri, direbbero che sono una persona piuttosto cordiale e gentile, ma anch’io non ho intenzione di girare le spalle ai problemi. Non ho intenzione di nascondermi. In questo momento dobbiamo affrontare problemi difficili, e non lasciare che si trasformino in cancri incurabili.

Dove vuole condurre la Chiesa?
Mi piacerebbe guidare la Chiesa nella stessa direzione indicata da San Francesco con la sua vita e la sua predicazione nel XIII secolo, per ritornare ad abbracciare la purezza del Vangelo, senza compromessi, in ogni circostanza e in ogni momento. Quando dico "ritornare", non voglio dire che vi è stato un tempo incontaminato di cui dovremmo cercare di riappropriarci. Voglio dire che partiamo sempre dalle nostre origini, e quindi proviamo a incarnarle all'interno del contesto sociale contemporaneo. Nel Vangelo non vi è nulla di cui mi vergogni, o che creda che siamo liberi di scartare. Dobbiamo abbracciarlo nella sua totalità.

La sua nomina segnala un passaggio da una posizione più centrista, concentrata sulla giustizia sociale all'interno della Chiesa Cattolica, ad un approccio più 'evangelico'?
Se la Chiesa non si adatta al tempo che scorre, non sarà in grado di conformarsi all'ispirazione dello Spirito Santo. Credo che i contributi dei vescovi della Chiesa negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, siano stati guidati dallo Spirito Santo, ma non è più così. Ci troviamo in un momento diverso della storia.
Per quanto riguarda la questione della giustizia sociale, non penso che si possa essere un evangelista, o parte di questo movimento evangelico all'interno della Chiesa, senza essere fortemente impegnato nella promozione della giustizia sociale, così come la Chiesa lo è stata in passato. Non possiamo predicare il Vangelo senza viverlo. Se non amiamo i poveri, e non facciamo tutto il possibile per migliorare la loro condizione, siamo destinati ad andare all'inferno.

Qual è la sua posizione sul divieto di ricevere l'eucaristia per i politici cattolici a favore dell'aborto?
Penso che il modo migliore per gestire questa situazione sia proprio quello su cui si sono accordati i vescovi degli Stati Uniti, che prevede, prima di tutto, di parlare personalmente con coloro che prendono decisioni contrarie agli insegnamenti della Chiesa. Se essi comprendono pienamente la dottrina della Chiesa e continuano ad agire in contrasto con essa, dovremmo chiedere loro di non ricevere l'eucaristia.
Se persistono delle loro decisioni in maniera scandalosa, il che significa che portano gli altri a macchiarsi dello stesso peccato, allora penso che sia necessario che il vescovo parli pubblicamente.

Matrimoni fra persone dello stesso sesso?
Questo è l’argomento del nostro tempo. La Chiesa intende il matrimonio come un rapporto unico, con una definizione unica, che è l'amore fedele e reciproco tra un uomo e una donna, permanente, e per il bene dei bambini. Da bambini, se non sappiamo che i nostri genitori si amano, le nostre vite sono molto instabili. Ecco perché credo che ogni bambino meriti una famiglia dove il padre ama la madre, e la madre ama il padre. Per noi, ridefinire il matrimonio come qualcosa di diverso mina la sua stessa nozione.

Qual è il suo punto di vista sulla crisi degli abusi sessuali: com’è potuto accadere, cosa significa, e cosa ci aspetta in futuro?
La rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e Settanta è stata un momento difficile per la Chiesa. Penso che molti dei vescovi della Chiesa siano rimasti confusi da tutto questo, e alcuni di loro non hanno agito correttamente perché erano confusi. Non si trattava solo della Chiesa, ma della società in senso più ampio. So che le autorità civili hanno agito esattamente nello stesso modo in cui la Chiesa ha agito in quel periodo. E così anche i distretti scolastici. Viviamo in un tempo diverso ora, e dobbiamo fare qualcosa. È di fondamentale importanza per parlare alle vittime, che sono quelle che più hanno sofferto di questa situazione, e alle loro famiglie. Credo che l'attenzione debba essere rivolta alle vittime e a coloro che sono stati feriti, piuttosto che alla difesa della Chiesa.
Allo stesso tempo, in qualità di vescovo, ho il dovere di accertarmi che ciò che viene chiesto alla Chiesa sia ragionevole, alla luce della storia e della maniera in cui queste problematiche sono state gestite in tutto il mondo. Credo la tendenza sia quella di punire la Chiesa come se fosse l'unica responsabile.

In linea di principio, nel caso in cui vi sia un funzionario della chiesa non colpevole di abuso, che avesse però avuto la responsabilità di impedire che tale crimine venisse commesso e avesse fallito nel suo compito, avete remore a lasciare che le autorità civili mettano quella persona sotto processo?
Penso che sia importante, per la Chiesa, seguire le leggi di un Paese, in qualunque luogo del mondo, con generosità. Non dobbiamo solo rispettarle in parte. Se i membri della Chiesa infrangono la legge, devono affrontarne le conseguenze. Naturalmente, è anche ragionevole esaminare l'equità della legge. Le leggi possono essere inadeguate. Possono essere forgiate in maniera selettiva e ingiusta. Il clero cattolico, i laici e il pubblico in generale devono essere ugualmente responsabili davanti alla legge, e nessuno deve temerla - ma, naturalmente, ciò prevede delle leggi giuste che vengano applicate in maniera equa, che abbiano le stesse implicazioni e le stesse sanzioni per tutti.

Che mi dice circa la responsabilità dei vescovi nella Chiesa? I critici sostengono che il recupero non può avvenire fino a quando anche i vescovi che hanno nascosto gli abusi non vengano puniti tanto severamente quanto i sacerdoti che li hanno commessi.
Lo capisco e penso che sia una preoccupazione legittima. Dovremmo avere la responsabilità delle nostre azioni nella Chiesa e i vescovi dovrebbero essere responsabili come i sacerdoti e i laici. Sono favorevole all'idea che dovrebbero esserci conseguenze reali, tangibili, per chi agisce contrariamente alle leggi dello Stato, alla disciplina della Chiesa, o la legge morale di Dio.

Pensa che ci siano sufficienti disposizioni in materia di responsabilità dei vescovi?
Dirò qualcosa che molte persone nella Chiesa non dicono, e cioè che dobbiamo studiare questo problema e riflettere su di esso molto seriamente. Dobbiamo affrontare la questione della responsabilità, anche dei vescovi, in maniera formale, chiara e decisiva.