Cesare deve morire
A Rebibbia un laboratorio teatrale su Shakespeare è occasione per riscoprire il dramma, che si rispecchia nelle vite dei carcerati.
Genere: Documentario, Drammatico
Regia di: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Cast principale: Salvatore Striano, Cosimo Rega, Giovanni Arcuri, Fabio Cavalli
Tematiche: arte, catarsi, vendetta, tradimento
Target: da 14 anni
Fresco vincitore dell'Orso d'Oro dal Festival di Berlino, il docufilm dei fratelli Taviani è una pellicola che sorprende e affascina con una vitalità e una rilevanza che sono ormai rare nel cinema italiano.
La messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare all’interno del carcere di Rebibbia ha per interpreti uomini che hanno sulle spalle pene che vanno fino all’ergastolo per delitti di mafia, camorra e similari, ed è raccontata attraverso un intenso bianco e nero che rappresenta una voluta mediazione rispetto al puro naturalismo documentaristico del colore.
Non un semplice documentario, dunque, ma nemmeno un film di finzione, l'esperimento dei Taviani è di quelli che sfidano lo spettatore a fare un incontro simile a quello che ha fatto nascere il progetto. Che è prima di tutto l’incontro dei registi, nel braccio di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, con un’esperienza messa in piedi dall’attore Fabio Cavalli, l’incontro con una materia umana dolorosa che è stata punto di partenza per trovare delle verità universali, ma anche per costruire una relazione affettiva con gli interpreti.
Di qui anche la scelta dell’opera da mettere in scena: secondo i Taviani: «il Giulio Cesare ha il merito di contenere delle naturali consonanze con le esperienze del carcere: i concetti di potere, tradimento, congiura, omicidio sono parte dell’esperienza dei carcerati (ma anche della nostra), parte del loro dramma così come del dramma dei personaggi di Shakespeare».
Un’intuizione da cui sono nati, nel corso delle riprese, intensi rapporti umani, che per altro non fanno venire meno il giudizio su ciò che gli attori improvvisati hanno fatto. Il passato dei carcerati, il loro presente nella situazione drammatica delle carceri italiane di oggi, la prospettiva per il futuro (che per almeno alcuni di loro significa solo e sempre il carcere...) tutto diventa parte di questo lavoro. Il modo di espressione è diretto ed emotivo, soprattutto quando a recitare è un ex carcerato e oggi attore come Salvatore Striano (nel curriculum anche Gomorra e FortApasc), che nel film ha la parte di Bruto.
Non si tratta certamente di un film "facile", e tuttavia la sintesi operata rispetto al testo da rappresentare (di cui però vengono messi in scena alcuni passaggi chiave, quelli più familiari a un pubblico vasto), l'uso dei dialetti da parte degli interpreti, nonché le trovate nella scelta degli ambienti che fanno da sfondo alle varie scene (il cortile dell'ora d'aria, i corridoi e le scale, ma anche le celle con le loro finestre bloccate) rendono dinamica e interessante la costruzione.
Senza mai cadere nel patetico i Taviani "tirano fuori" la verità dei personaggi Shakespeariani, così come quella dei carcerati e degli ex-carcerati diventati attori, sfidando il pubblico a intrecciare queste verità psicologiche (ma non solo) per trovare la propria personale interpretazione del testo e delle storie individuali.