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L'ANNIVERSARIO

Cesare Cattaneo e la casa ideale

A cent'anni dalla nascita dell'architetto cattolico rimane viva la sua denuncia: non si può progettare senza tener conto del concetto cristiano di famiglia.

Cultura 14_05_2011
Cesare Cattaneo Il Novecento è stato anche in architettura il secolo della sperimentazione, del taglio netto con la tradizione e il passato, e gli architetti che confluirono nel movimento più importante della prima metà del secolo in Italia e in Europa, il Razionalismo, erano animati dalla certezza che l’architettura nel nuovo secolo avesse da giocare un ruolo messianico: nel loro lavoro come nelle dichiarazioni programmatiche è evidente la convinzione di poter cambiare il mondo e gli uomini con la forza dei principi con i quali si costruiva la nuova architettura. La tensione che li animava era etica, sociale, politica, ma mai religiosa e spirituale, tranne in qualche caso sporadico, come è quello di Cesare Cattaneo (1912-1943), di cui tra pochi mesi ricorrerà il centenario della nascita.

In vista dei prossimi festeggiamenti sono stati pubblicati due volumi, Scritti di architettura (Archivio Cattaneo Editore), che raccolgono molti documenti interessanti e tra questi un articolo del 1942 (i cui concetti erano riassunti in appunti precedenti sotto il titolo di Manifesto di un’architettura cattolica), scritto per la rivista Domus, che sembra indicare ancora oggi la possibilità di una strada metodologica alternativa a quella che percorrono gli architetti contemporanei. Demiurghi che, tagliato il cordone dell’architettura alla sua storia, si pongono non tanto come interpreti dei bisogni umani, come risolutori di problemi al servizio dell’uomo, ma piuttosto come artefici del loro destino con una prosopopea programmatoria vicina all’ideologia e sempre più lontana dal mestiere.

Già il titolo, La casa e l’ideale, è significativo. Ci voleva un bel coraggio per proporlo su una delle riviste di punta dell’architettura d’avanguardia! Ci poteva essere un accostamento più in controtendenza di quello? Ricordiamo che siamo nel momento storico in cui la casa (casa operaia e piccolo borghese) è oggetto di studio analitico e quasi fanatico per giungere a stabilire con esattezza ergonometrica lo spazio minimo necessario per ogni locale dell’abitazione in rapporto al numero degli abitanti e ai loro movimenti nello svolgere le varie attività. Che a dirlo così non sembra neanche sbagliato. E in sé non lo è, se non nella particolarità del pensiero che lo generava e che gode ancora oggi di grande considerazione: quello scientifico-ingegneristico che cataloga i bisogni dell’uomo relativi all’abitare come fossero esclusivamente di natura funzionale e fisiologica.

Cattaneo vedeva questo limite con chiarezza e nell’articolo proponeva in alternativa un progetto chiamato Casa famiglia per la famiglia cristiana, premettendo, alla sua relazione, una citazione tratta dai Discorsi del mercoledì di Pio XII, in cui il Papa si esprimeva così: «La famiglia è il principio della società. Come il corpo umano si compone di cellule viventi che non solamente poste l’una presso dell’altra, ma colla loro intima e costante relazione costituiscono un insieme organico, così la società è formata non da un conglomerato di individui, esseri sporadici, i quali appariscono un istante per poi svanire, ma dalla comunanza economica e dalla solidarietà morale delle famiglie, che, trasmettendo di generazione in generazione la preziosa eredità di uno stesso ideale, di una stessa civiltà, della stessa fede religiosa, assicurano la coesione e la continuità dei vincoli sociali».

Che un architetto
, non passatista e neppure ai margini del dibattito architettonico, ma uno dei protagonisti più brillanti sul fronte della battaglia in favore della nuova architettura e un intellettuale raffinato, si ponesse la domanda cruciale, evitata da tutti, e cioè cosa rappresenti o debba rappresentare la casa per l’uomo e da lì partisse per progettarla, significava adottare un atteggiamento rivoluzionario. Come lucida ed esatta risulta ancora oggi l’analisi dell’idea, allora in nuce e oggi diffusa capillarmente, cioè quella che vede la casa come il rifugio delle libertà dei suoi abitanti, come il luogo dove poter sfogare istinti e capricci, dove gli abitanti si rivelano «incapaci di dare un senso non individualistico e romantico alla loro vita intima».

Quello che Cattaneo avvertiva progettando sulla base di regolamenti e convenzioni distributive moderne («pedanti leggi di orientamento, di luminosità degli ambienti, di altezza dei locali, di metri cubi d’aria per abitante… e perché la cucina deve essere vicina alla sala da pranzo? Ma perché mangiare nella sala da pranzo? Ogni abitante della casa non mangerebbe magari meglio nella sua stessa camera da letto?») era la mancanza, al di là dell’apparente inattaccabile logicità della normativa, di un principio fondante in grado di orientare la progettazione. Un principio che soprattutto tenesse conto dell’impossibilità di ridurre l’uomo ad una entità biologica vegetativa, quasi fosse un «animale isolato o semplicemente accostato agli altri uomini, trascurando lo sforzo che egli fa per fondersi cogli altri uomini in organismi superiori a quello della sua fisica individualità. Escludendo la sintesi dall’uomo stesso, come si può pensare la sintesi di un’architettura?».

Per Cesare Cattaneo
il principio ordinatore poteva risiedere solo nel concetto cristiano della famiglia e tenendo saldo tale principio si applicò a studiare un modello tipologico, con diverse varianti, per rispondere al naturale bisogno di una casa che nasce con la fondazione di ogni nuova famiglia.

La descrizione di Cattaneo dell’atto fondativo della nuova casa, la delimitazione del terreno col muro di cinta e la posa all’ingresso di una lastra di pietra con impresso il nome della famiglia, ha il sapore del gesto sacrale, così come la costruzione in posizione centrale rispetto al terreno della sala della famiglia, dedicata alla custodia di oggetti di speciale valore, legati ai ricordi degli antenati e del matrimonio, luogo privilegiato per il ricevimento dei parenti e per la preghiera, attorno alla quale si sviluppano tutti gli altri locali dell’abitazione. Un’abitazione work in progress diremmo oggi. Infatti la casa non è rigidamente definita fin dall’inizio nella sua organizzazione e costruzione, ma è previsto che le camere da letto si sviluppino dal nucleo principale col tempo, quando nella famiglia nasceranno man mano i figli, adottando un procedimento simile alla crescita di un organismo, come organismo egli ritiene sia da considerarsi l’architettura. E una volta cresciuti i figli? La casa tornerà a poco a poco vuota fino al matrimonio di qualche nipote, che la acquisirà e che, se i gusti e le mode saranno cambiati, potrà demolirla salvaguardando però il muro di cinta, la pietra d’ingresso e la sala della famiglia.

Un’intuizione straordinaria la sua: riconoscere il bisogno ancestrale di mettere radici in un luogo e di trasmetterlo alle nuove generazioni, e adoperarsi per dare forma architettonica a questa esigenza, legata alla memoria e alla costruzione della propria identità (e completamente estranea a qualsiasi diagramma funzionale), coniugandola con le necessità contemporanee che spingono al cambiamento in spazi di tempo sempre più ravvicinati. Cambiamenti che recidono il radicamento nei luoghi della nostra origine, mentre sarebbe «naturale e opportuno che un uomo abbia, anche in una vita di rapidissimi spostamenti, un punto di riferimento».

Anche le tecniche di costruzione della casa sono subordinate in questo progetto alla gerarchia data alle diverse parti dell’organismo: regole particolarmente accurate di esecuzione e materiali solidi per la sala della famiglia, strutture leggere e flessibili per la parte non duratura. E proprio la parte dell’abitazione flessibile si presta ad essere interpretata utilizzando le numerose alternative che oggi vengono proposte per case semi- provvisorie ed eco-sostenibili (per esempio nella mostra alla Triennale del 2010 la casa 100mq/100.000 €). Anche il tema dell’ecologia nei materiali e metodi di costruzione in questo modo viene ricondotto nella sua giusta dimensione di mezzo e non di fine, perdendo il carattere di dogma inattaccabile di cui si è rivestito.

Cesare Cattaneo non si nascondeva il problema che una tale casa potesse essere adatta solo a una minoranza di persone, anche se pensando agli sterminati quartierini di villette in proprietà del nostro paese forse di minoranza non si può parlare, e all’obiezione rispondeva così «il problema della abitazione media e popolare sarà veramente impostato quando sarà già stato impostato il problema dell’abitazione signorile, che a quelle deve servire d’esempio. Le case dei poveri siano a quelle dei ricchi simili, diceva Leon Battista Alberti: ma non viceversa. Se la casa popolare è oggi così brutta e insufficiente a dar vera gioia ai suoi abitatori, è anzitutto perché i ricchi hanno persa l’idea della buona e bella abitazione, e di una giusta vita familiare».