Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
GIUSTIZIA

Certezza del diritto o delle ferie?

Come fanno carriera i giudici? Esiste meritocrazia nel mondo delle toghe? Chi spiega ai cittadini le logiche che ispirano promozioni e trasferimenti dei magistrati? La corruzione è un tarlo corrosivo della società italiana, e questo è innegabile, ma non meno perniciosa per la produttività del Paese è l’inefficienza del pianeta giustizia.

Politica 26_01_2015
Renzi accusa le toghe

Le correnti sono più forti nella magistratura che non nei partiti. É questa una delle patologie della giustizia italiana e il premier ha fatto bene a rimarcarla. Come fanno carriera i giudici? Esiste meritocrazia nel mondo delle toghe? Chi spiega ai cittadini le logiche che ispirano promozioni e trasferimenti dei magistrati? La corruzione è un tarlo corrosivo della società italiana, e questo è innegabile, ma non meno perniciosa per la produttività del Paese è l’inefficienza del pianeta giustizia, la sua eccessiva politicizzazione, e l’assoluta aleatorietà nell’applicazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale.

Sabato abbiamo avuto l’ennesima conferma di come taluni magistrati utilizzino occasioni ufficiali, ma ormai divenute stantie, sterili e ripetitive, come l’inaugurazione dell’anno giudiziario, per lanciare accuse al potere esecutivo e alzare costantemente il prezzo con la politica al fine di impedire che essa si occupi di riformare sul serio la giustizia. Questo governo, più di altri che l’hanno preceduto, sta cercando di delimitare il potere della magistratura senza intaccarne l’indipendenza. Ieri Renzi si è detto convinto che «la grande maggioranza dei giudici italiani siano persone per bene, che dedicano la vita a un grande ideale e lo fanno con passione», ma ha altresì polemizzato con le toghe definendo «ridicolo che se hai un mese e mezzo di ferie e ti viene chiesto di rinunciare a qualche giorno» la reazione sia quella di considerare vessatoria questa misura. 

I “processi lumaca”, l’abuso della custodia cautelare, le frequenti tensioni e rivalità tra procure, le manie di protagonismo, le cadute di stile e le soverchianti esposizioni mediatiche di taluni pubblici ministeri sono le principali anomalie del pianeta giustizia in Italia, contaminato alla radice dalla mancanza di separazione di carriere tra pubblici ministeri, che promuovono l’azione penale, e giudici, che interpretano la legge applicandola ai casi concreti. In gran parte del mondo questo principio di separazione tra la titolarità dell’azione penale, esercitata dal potere esecutivo, e la funzione giurisdizionale, assicura un equilibrio che da noi non c’è. La corporazione dei magistrati gestisce l’intero assetto della giustizia e questa anomalia inficia alla radice il concetto stesso di sovranità popolare. E lo si è visto in occasione di Tangentopoli, quando, per combattere la corruzione, molti pubblici ministeri, in particolare Antonio Di Pietro e il pool di Mani Pulite, hanno commesso evidenti forzature del codice penale.

La differenza, rispetto ad allora, è che oggi i palazzi di giustizia sono attraversati da veleni e divisioni che indeboliscono la magistratura e la pongono in affanno nelle cicliche rivendicazioni nei confronti del potere politico. Basti pensare alla faida tra Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo, alla procura di Milano. Nell’interesse dei cittadini occorre una riforma della giustizia che elimini i privilegi ormai inconcepibili delle toghe e snellisca i tempi dei processi. É dimostrato che un’infinità di processi finiscono in un nulla di fatto, non solo per la “melina” che fanno alcuni avvocati, ma anche perché pm e gip lavorano meno di quanto potrebbero. Per non parlare dei tantissimi errori giudiziari, per i quali non paga mai nessuno. Il nodo della responsabilizzazione civile dei magistrati per colpa grave sembra ancora una volta marginale nel dibattito politico. Pare che in Italia di errori se ne verifichino circa duemila all’anno (dati contenuti nel sito errorigiudiziari.com), consistenti soprattutto nell’inutile e pretestuosa apertura di fascicoli di inchiesta con accuse e sospetti che poi evaporano come neve al sole ma che nel frattempo contribuiscono a ledere la reputazione delle istituzioni, delle aziende e dei soggetti individuali coinvolti.

Le inaugurazioni dell’anno giudiziario dovrebbero servire come occasione per ricreare un clima di fiducia tra magistratura e cittadini e offrire a questi ultimi anche i dati sul cattivo funzionamento della giustizia. Si continua invece demagogicamente a raccontare agli italiani che il vero problema dell’Italia è la corruzione, si invocano leggi speciali, superprocure, authorities, ma la verità è che basterebbe far lavorare di più i magistrati, separare le carriere di pm e giudici, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rendendo più trasparenti i percorsi professionali e le dinamiche interne al mondo delle toghe. Se le imprese straniere girano alla larga e continuano a non prendere in considerazione l’idea di investire nel nostro Paese è anche per colpa delle lungaggini della giustizia, che imbriglia la libertà delle persone e viene amministrata in modo caotico e spesso privo di logica. C’è davvero da augurarsi che su questo punto il premier non molli e metta a frutto tutta la sua proverbiale perserveranza.