ITALIA
Cercasi identità per il centro-destra
Alle amministrative il centro-destra va incontro a una sconfitta quasi certa, risultato della crisi d'identità
di un partito diventato Ipermontista.
Attualità
21_03_2012
Si può prevedere che il cosiddetto centro-destra non uscirà bene dalle prossime elezioni amministrative. Sappiamo bene che il centro-destra non esiste più e per questo parliamo di “cosiddetto” centro-destra. Ma proprio qui sta il problema politico di cui ci stiamo occupando: mentre il centro-destra non esiste più, l’area di sinistra può ritornare a significare qualcosa nell’immaginario degli elettori. In altre parole Monti ha fatto più morti a destra che a sinistra e ciò sarà evidente già alle prossime amministrative.
Ma perché ha fatto più morti a destra? Egli ha assunto il programma di riforme del centro-destra condendolo però con un ben studiato bon ton istituzionale e con uno stile comunicativo in doppio petto. In questo modo ha continuato la strada intrapresa da Berlusconi ma dando l’idea di un cambiamento di rotta nei modi che gli ha valso l’incondizionato appoggio di Casini. Il riformismo di Monti è interno al sistema mentre Berlusconi voleva attuarne uno di esterno al sistema. Del sistema Monti accetta tutti i presupposti, compresi quelli liturgici e procedurali, e dentro questi presupposti vuole condurre le sue riforme. Accontenta così i riformisti che vogliono liberalizzare il sistema ma fino ad un certo punto, perché queste liberalizzazioni devono tenere conto del sistema stesso, e quindi accontenta anche i conservatori. Fare la riforma del lavoro senza scontentare le parti sociali e, soprattutto, senza rinunciare alla trattativa ad oltranza. Riformare la giustizia senza toccare gli eccessi di potere di taluni pubblici ministeri e senza mettere in discussione l’assetto del Consiglio superiore della magistratura. Riformare il fisco ma guardandosi bene dal fare un fisco a misura di famiglia. Riformare la RAI ma senza mettere in discussione la “centralità del servizio pubblico”.
Adesso sono anche ricominciati gli sbarchi a Lampedusa e, come è probabile, il governo Monti ritornerà alle vecchie politiche di freno e acceleratore alternate tra loro. Insomma: riforme politicamente corrette che non disdegnano di promuovere il divorzio breve, di progettare l’insegnamento dell’ educazione sessuale del gender fin dalle elementari, di far pagare l’Imu alle scuole cattoliche, il tutto in ossequio all’Europa. Quello di Monti è un riformismo ossequioso.
L’Udc di Casini è diventata per questo il “Partito di Monti” e qualsiasi cosa faccia questo governo trova l’assenso di Casini. Il Pdl si è incomprensibilmente collocato su una posizione di Ipermontismo: preme continuamente perché Monti faccia fino in fondo Monti, anzi che vada anche oltre Monti stesso nelle riforme, che abbia coraggio e porti al traguardo il testimone raccolto dalle mani di Berlusconi. Ma perde di vista che sarà Monti a impaniare il riformismo e non il riformismo a dettare legge a Monti. Casini e Alfano cercano di salire sul carro e di presentare Monti come il loro presidente, ma in questo modo sbiadiscono le loro posizioni non su un riformismo forte ma su una melina di natura democristiana. Con la differenza che Casini sta andando verso il “Partito della Nazione” mentre Alfano non si sa.
La Lega potrebbe ottenere un buon consenso elettorale alle amministrative proprio per essere l’unico partito della vecchia maggioranza all’opposizione. Sta di fatto che i tre partiti di centro destra andranno in ordine sparso, a parte qualche alleanza locale, e l’Udc addirittura si terrà la mano libera. Non sarà facile, andando da soli, vincere al primo turno; e al secondo, come si sa, i giochi ripartono da zero.
Non bisogna poi dimenticare quello che i politologi chiamano il vento elettorale, ossia quelle propensioni dell’opinione pubblica che non si fondano su dati politici ben chiari, ma che si basano su sensazioni dominanti e ondate di consenso epidermico. Veniamo da un sostanziale fallimento governativo del centro destra. E’ vero che Berlusconi non ha subito alcuna sfiducia in parlamento ma è altrettanto vero che ha dovuto lasciare perché il quadro era diventato impraticabile, ha dovuto passare la mano. L’dea generica che l’elettore medio si fa in questi casi è che è meglio cambiare. Inoltre le divisioni del centro destra non danno affidamento per una prospettiva di stabilità.
Il centro sinistra, tutto sommato, è meno coinvolto da queste dinamiche. Ampi settori di quell’area politica sono all’opposizione e l’assenso di Bersani è sempre stato prudente nelle modalità e molto attento a non dare l’impressione di firmare deleghe in bianco, come invece sembrano aver fatto Casini e Alfano. Se prendiamo per esempio la trattativa sull’articolo 18 ancora in corso, alla fine Bersani potrà dire con una certa plausibilità di aver ottenuto qualcosa, mentre Alfano dovrà riconoscere di non aver ottenuto tutto.