IDEE
C'era una volta il sesso, e bisogna che ci sia ancora
I giuristi cattolici studiano la strategia per rispondere all'ideologia transgender.
Attualità
15_12_2010
C’era una volta il sesso, è il caso di dire. Meglio, c’erano i due sessi, perché Dio «maschio e femmina li creò». A sua immagine. E c’erano una volta la natura, la realtà, il senso comune delle cose. Ora tutto questo rischia di essere spazzato via dalla cosiddetta ideologia transgender, secondo cui, come ha affermato una volta Luxuria, ti alzi la mattina e decidi che cosa vuoi essere, se maschio o femmina. E a sostegno di questa visione ci sono potenti forze politiche e culturali, che trovano una sponda nelle istituzioni comunitarie europee, che spingono - a colpi di sentenze - affinché il diritto si adegui.
Questo il tema, «delicato, complesso ma terribilmente attuale», com’è stato definito da Francesco D’Agostino, presidente centrale dell’Unione giuristi cattolici italiani, del convegno nazionale di studio «Identità sessuale e identità della persona», che si è tenuto a Palermo nei giorni scorsi.
Se l’identità sessuale non è legata a un dato originario, fisico, biologico, se è «sganciata da una struttura corporea ma è stabilita dalla volontà del soggetto», la conseguenza è che così «come si sceglie l’identità sessuale si sceglie il modello di convivenza sociale». L’ha affermato nel suo intervento sulle «Avventure giuridiche della differenza sessuale» Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale comparato all’Università di Milano-Bicocca. In altri termini, ha proseguito, «ciò che il soggetto desidera e sceglie come stile di vita deve ottenere un riconoscimento positivo dell’ordinamento giuridico».
Da qui le forti pressioni al legislatore, in virtù del principio di non discriminazione, perché siano riconosciute e sostanzialmente equiparate alla famiglia tradizionale le nuove forme di convivenza sociale, come le unioni civili o solidali tra persone dello stesso sesso.
La distinzione tradizionale maschio/femmina, basata sul dato biologico e legata al processo generativo della specie, corre il pericolo di uscire di scena per il prevalere di una concezione che «nega la natura, l’esistenza e la conoscibilità della natura», ha precisato nello stesso convegno Laura Palazzani, docente di Filosofia del diritto alla Lumsa di Roma. Tende ad affermarsi un’idea secondo cui «a produrre l’identità sessuale sono pulsioni e istinti dell’individuo». Così l’essere nasce dall’agire - e non viceversa - verso una deriva in cui la differenza sessuale è neutralizzata a favore di una «indifferenziazione totale», dove «esistono tante differenze quante volontà». Una sorta di «intersessualità» o «middle sex», che di fatto si traduce in quella ambivalenza sessuale che caratterizza tante rockstar: un «genere intermedio tra maschio e femmina; essere maschio o femmina è una sfumatura». Perché il corpo deve liberamente esprimersi. «Si è maschio e femmina insieme», ha aggiunto la Palazzani, che è anche vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica.
Al limite, si può «continuare ad oscillare senza mai fare una scelta definitiva». Cambia, insomma, l’autocomprensione della persona umana, con conseguenze devastanti sul piano culturale e sociale.
Che fare? Non si può assistere impotenti a questo «sradicamento», come lo ha definito la Cartabia, che fa sì che «il possesso di organi sessuali differenziati non è più un’indicazione» per la determinazione dell’identità sessuale e quindi dell’identità personale, al punto che in certe valutazioni giurisprudenziali «l’elemento volontaristico e psicologico sta avendo una prevalenza assoluta», determinando un «io disincantato», quasi un «fantasma di sé». Occorre recuperare la «complementarietà», un «rapporto armonioso» tra sesso e gender, tra ciò che sì è come dato di natura e le proprie esigenze soggettive. Perché ciò cui si assiste, in definitiva, non è altro che una potente «fuga dalla realtà», una «fuga antropologica».
Dobbiamo tornare ad apprezzare il «dato del reale» e questo è anche il compito del diritto, rettamente inteso. Ma dobbiamo anche recuperare uno spazio autentico di libertà, ha sostenuto D’Agostino, «perché se la vita non è più legata alla natura, diventa preda del potere politico e dei soggetti collettivi», che impongono un «volere regolativo» mascherato dal rispetto per l’autonomia e l’autodeterminazione. Una pura illusione, che va denunciata e combattuta.