CEI-Casarini, tutta ideologia. E la chiamano carità
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Due note, del vescovo Castellucci e della Conferenza episcopale, reagiscono alle inchieste pubblicate in questi giorni sui soldi dati dalla Chiesa a Mediterranea. Ma evitano il punto centrale: l'esistenza di una rete di vescovi che sta finanziando un traffico illegale di immigrati. Il ruolo del cardinale Zuppi.
Sulla questione dei soldi delle diocesi a Casarini, il giorno precedente la Festa dell’Immacolata sono stati emessi ben due comunicati, uno del vescovo di Modena, Erio Castellucci, e uno dell’ufficio comunicazione della Conferenza dei vescovi italiani (CEI). I due comunicati hanno chiarito i termini della questione di cui anche la Bussola si era occupata?
Monsignor Castellucci dice in sostanza due cose: la prima è che i soldi versati per sostenere Mediterranea di Casarini provengono dal fondo della carità del vescovo e figurano nella contabilità, non sono stati versati in nero; la seconda è che un simile atto di carità è da sempre proprio della Chiesa in quanto cerca di realizzare le opere di misericordia e che la diocesi di Modena adempie con varie iniziative di aiuto economico che il vescovo elenca nel comunicato. Quindi, quanto apparso sulla stampa sarebbe una montatura. Il giornale L’Unità, che ieri ha pubblicato per intero la nota della diocesi di Modena, le ha attribuito questo titolo: «Vogliono impedire alla Chiesa di salvare i naufraghi». Dal che sembra conseguire che chi ha criticato l’operazione vuole che i naufraghi muoiano in mare…
Il comunicato CEI parla di accuse diffamatorie e pretestuose, afferma che la Conferenza episcopale non ha assunto l’iniziativa in proprio – ossia che non ha direttamente elargito denaro - ma ha solo approvato la decisione di alcune diocesi, sottolinea che la cifra è inferiore a quella apparsa sui giornali e che le “donazioni” sono state fatte in modo legale e rintracciabile. Ribadisce poi lo spirito di accoglienza per chi è in difficoltà sollecitato da papa Francesco.
Le notizie fornite dai due comunicati non chiariscono le questioni aperte da quanto emerso dalle intercettazioni della procura di Ragusa nell’ambito dell’inchiesta, ormai arrivata al processo, su eventuali gestioni commerciali degli aiuti umanitari nel Mediterraneo. Né vale la pena mostrare disappunto per la fuga di notizie dalla procura di Ragusa, come fanno Castellucci e CEI, perché questo è tutt'al più un altro problema che non riguarda il merito delle critiche ai vescovi.
Soprattutto i due comunicati lasciano in ombra la questione principale, ossia l’esistenza di una rete che si è andata progressivamente costituendo e non solo di singole iniziative di buon cuore. I vescovi protagonisti sono un numero considerevole se si considerano i diretti interessati e anche quelli i cui nomi emergono di riflesso. E non si tratta solo di vescovi diocesani, ma anche di cardinali della curia romana e di organismi ecclesiali. I due comunicati fingono che questa dimensione organizzata nemmeno ci sia, mentre sembra esserci senz’altro, come proverebbe, tra l’altro, il progetto di istituzionalizzare e rendere sistematico il prelievo di risorse da destinare al progetto da un centinaio di parrocchie selezionate.
Un simile progetto, se attuato, certamente non avrebbe attinto i soldi solo dal fondo della carità del vescovo ma anche dalle piccole offerte dei fedeli. Il progetto “Cum-finis” era, appunto, un progetto e non è riducibile al “buon cuore” di un pugno di vescovi che senza relazioni tra loro e casualmente si sarebbero trovati concordi nel donare ingenti somme a Mediterranea, e non solo una volta. Se si fa la somma in due anni delle cifre corrisposte si raggiungono numeri significativi, pari a 65 mila euro mensili. Non sarebbe possibile avere questi risultati se non si fosse trattato di una convergenza concordata, una specie di joint-venture ecclesiastica clandestina. Clandestina non nel senso che le cifre elargite non fossero tracciabili, ma perché clandestina era la rete sistematica che si era costituita a beneficio di Casarini e compagni. Su tutti questi problemi i due comunicati non chiariscono nulla.
Poi c’è il ruolo del cardinale Zuppi. La nota della CEI nega un coinvolgimento formale della Conferenza dei vescovi ma questo significa solo che nella contabilità di Circonvallazione Aurelia queste “donazioni” non appaiono e che non esistono verbali che dimostrino deliberazioni istituzionali in proposito. Ma questo non significa che il presidente della CEI, il cardinale Matteo Zuppi, non abbia svolto un ruolo importante nell’intreccio dei contatti che un simile progetto comportava. Dalle intercettazioni questo ruolo appare in modo indubitabile. Sembra di capire che Zuppi era a conoscenza dell’accordo, che aveva partecipato in molte occasioni a promuoverlo, soprattutto quando Casarini cercava di avvalersi della cosiddetta “agenda Ciotti” per incrementare contatti ritenuti strategici. Tenendo conto di questo, il comunicato della CEI risulta addirittura ridicolo.
Per capire il senso profondo di questa vicenda bisogna però non fermarsi alla cronaca, ma chiedersi cosa accumunasse non tanto questi vescovi e il “giro” di Casarini – il che già richiederebbe una analisi di grande problematicità e interesse -, ma prima di tutto cosa accomunasse questi vescovi tra di loro. Perché se leggiamo i loro nomi e ripensiamo ai loro volti concludiamo che sono tutti della stessa pasta, hanno tutti in testa le stesse idee. Sono tutti vescovi progressisti che sfruttano al massimo il “momento Francesco”, vivono una ideologia di sinistra sia teologicamente che politicamente, fanno dell’immigrazionismo la loro bandiera per rendere impossibile una presenza cattolica dottrinalmente ponderata su questi e altri problemi, fanno lega tra di loro per spingere verso soluzioni a loro care un episcopato grigio e fannullone. Perseguono un progetto ideologico e lo chiamano carità.
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