C’è un’Africa che vuole essere risarcita dall’Occidente
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Da decenni si parla di risarcire i discendenti degli africani vittime della colonizzazione europea. Da ultimo, il vertice di Accra (14-17 novembre 2023) ha deciso di istituire un Fondo di riparazione globale. Un vittimismo continuo, che prende di mira la civiltà occidentale.
La civiltà occidentale è sotto attacco. Nelle occasioni più diverse – conferenze e vertici internazionali, visite ufficiali di capi di Stato, giornate mondiali commemorative, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, eccetera – sempre più di frequente l’Occidente è chiamato a rispondere di misfatti, veri o inventati, attuali e trascorsi, gli si chiede di umiliarsi, riconoscere le proprie colpe, chiedere scusa, risarcire le vittime, restituire il maltolto. La tratta transatlantica degli schiavi africani in particolare, dal XVI al XIX secolo, e la colonizzazione europea dell’Africa, dalla fine del XIX a circa metà del XX secolo, ormai sono descritti come i momenti più tragici, ingiusti e devastanti di tutta la storia umana. Tanto basta a giudicare l’Europa colpevole dei peggiori crimini mai commessi e a considerare l’Africa la principale e più commiserabile delle vittime.
Di compensare i discendenti degli africani vittime della tratta e della colonizzazione europee si parla ormai da decenni. Ma, nei vari contesti in cui l’argomento è stato affrontato, finora ci si era limitati a deplorare l’accaduto e a suggerire l’opportunità di eventuali azioni riparatrici. Invece di recente gli interventi sono diventati più pressanti, le richieste più concrete. Il 25 marzo, Giornata internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha parlato delle conseguenze a suo dire attuali della tratta: «L’eredità della tratta transatlantica degli schiavi ci perseguita ancora oggi. Possiamo tracciare una linea retta dai secoli di sfruttamento coloniale alle disuguaglianze sociali ed economiche di oggi. E possiamo riconoscere i cliché razzisti resi popolari per razionalizzare la disumanità della tratta degli schiavi nell’odio suprematista bianco che sta rinascendo oggi».
Quindi a luglio il vertice di Bruxelles dell’Unione Europea e della Celac (Comunità di Stati latinoamericani e dei Caraibi) ha messo a punto un piano di riparazioni in dieci punti che include l’esortazione ai Paesi europei a chiedere formalmente scusa per la tratta degli schiavi e prevede tra l’altro un programma di rimpatrio assistito per gli afroamericani che desiderano trasferirsi in Africa. Pochi giorni dopo l’Università delle Indie Occidentali, il Consiglio economico, sociale e culturale dell'Unione Africana, il governo delle Barbados, la Open Society Foundations e la Caribbean Pan African Network hanno organizzato nella capitale delle Barbados, Bridgetown, un incontro di quattro giorni durante il quale ambasciatori e rappresentanti dei Paesi africani e della Caricom, la Comunità caraibica, hanno proposto una tabella di marcia per avanzare la richiesta di riparazioni «per i crimini storici» perpetrati dai Paesi europei: «Questo è un momento storico – ha detto Hilary Beckles, capo della commissione per le riparazioni creata a conclusione dell’incontro –, l’umanità non può andare avanti finché permangono le interferenze tossiche della colonizzazione, dobbiamo ripulire questo caos per consentire all’umanità di funzionare. La causa principale delle odierne sofferenze è la persistente persecuzione dei discendenti della schiavitù e del genocidio». «È fondamentale riconoscere come la schiavitù, il colonialismo e il razzismo si intersecano e influiscono sulla vita dei neri in tutto il mondo», ha aggiunto Youssouf Mandoha, rappresentante dell’Unione Africana.
Infine il contributo decisivo all’avvio di passi concreti per ottenere la riparazione è venuto dal presidente del Ghana, Nana Addo Akufo-Addo, che dal 14 al 17 novembre nella capitale del Paese, Accra, ha ospitato un vertice, intitolato Reparation Conference. Lo scopo dell’incontro era «costruire un fronte unito per promuovere la causa della giustizia e del pagamento dei risarcimenti agli africani». Vi hanno partecipato rappresentanti dell’Unione Africana, capi di Stato e di governo africani, studiosi, esperti di diritto e rappresentanti di organizzazioni della società civile. Al termine dei colloqui i delegati hanno deciso la costituzione di un Global Reparation Fund, un Fondo di riparazione globale, che sarà affiancato da un Comitato di esperti istituito dalla Commissione dell’Unione Africana in collaborazione con i Paesi africani. Inoltre verrà nominato un inviato speciale che avrà il compito di seguire campagne di sensibilizzazione, contenziosi e attività giudiziarie. Gli importi richiesti come risarcimento saranno decisi tramite «accordi negoziati» e andranno a «beneficio delle masse». L’obiettivo è che si vada oltre ai pagamenti finanziari diretti per includere anche degli aiuti allo sviluppo, la restituzione delle risorse sottratte in epoca coloniale e la correzione sistematica delle politiche e delle leggi oppressive che penalizzano i discendenti degli schiavi africani.
È un’Africa insaziabile quella intenta a escogitare il modo di ottenere altri capitali ancora, altre risorse da aggiungere a quelle immense ogni anno ricevute in dono, prese a prestito, ottenute per finanziare progetti, offerte per contenere gli effetti avversi del clima, mitigare la carenza di servizi e infrastrutture, affrontare le crisi umanitarie. Lo fa rivolgendosi a chi sa disposto ad acconsentire, l’Occidente. Non prova neanche a farlo, giustamente certa che sarebbe inutile, con i Paesi arabi che sulle coste dell’Oceano Indiano, dal VII al XX secolo, hanno catturato, acquistato e deportato da 14 a 17 milioni di africani, una tragedia dimenticata, ignorata di cui nessuno vuole parlare.