L'EDITORIALE
C'è un problema al Cairo
Il richiamo in Egitto dell'ambasciatore presso la Santa Sede non è il segno di una crisi diplomatica, ma delle difficoltà che il governo egiziano ha con i fondamentalisti islamici.
Editoriali
11_01_2011
C’è un problema al Cairo. E’ questo il fatto principale dietro al richiamo in patria dell’ambasciatore egiziano presso la Santa Sede, la signora Aly Hamada Mekhemar,per consultazioni sulla questione delle presunte interferenze vaticane sulla strage dei copti. La pretestuosità del caso è evidente: non solo il Papa non ha rivolto nei giorni scorsi alcuna accusa al governo egiziano, ma lunedì nel discorso al Corpo diplomatico, tutto centrato sulla libertà religiosa, ha evitato accuratamente di calcare la mano sulla situazione dell’Egitto. Del resto, in questi 11 giorni trascorsi dalla strage di Alessandria, mai il governo egiziano si è lamentato delle parole del Papa. E prima di ripartire da Roma, l’ambasciatore egiziano ha incontrato il “ministro degli Esteri” vaticano, mons. Dominique Mamberti, al termine del quale la Santa Sede ha emesso un comunicato che smorza ostentatamente i toni, lasciando intendere che la Santa Sede non ritiene questa mossa diplomatica un atto ostile e, men che meno, l’apertura di una crisi.
Il problema dunque non sta a Roma, ma al Cairo. Di cosa si tratti è facile intuirlo: l’Egitto è nel pieno di una fase di transizione del potere. Il presidente Mubarak sta cercando di “pilotare” la propria successione spingendo per il figlio Gamal, ma le resistenze dell’apparato politico e militare che lo sostiene sono forti. E mentre al vertice si combattono lotte intestine, i fondamentalisti islamici fanno sentire tutta la propria pressione. La strage di Alessandria è in questo caso un segnale allarmante, per una serie di motivi.
Anzitutto si tratta di un salto impressionante di qualità nella violenza contro i cristiani che si lega ad altri fatti analoghi che stanno accadendo in Iraq e Nigeria, cosa che fa pensare a una regia sovranazionale: non a caso al Qaeda aveva minacciato azioni contro i copti pochi giorni prima dell’attentato. Non è un segreto che il primo obiettivo dei gruppi fondamentalisti siano i regimi laici o moderati dei paesi musulmani, e l’Egitto è certamente, con l’Arabia Saudita, il paese arabo strategicamente più importante del Medio Oriente.
In secondo luogo, il fallimento dei servizi di sicurezza: dall’assassinio del presidente Sadat (1981) in poi il governo egiziano ha dedicato tutte le proprie energie nel cercare di sconfiggere e tenere a bada i radicali islamici, radunati soprattutto intorno al movimenti dei Fratelli Musulmani, e in larga parte c’era finora riuscito anche se ad elevati costi sociali ed economici. Ora il rischio è che un prolungato periodo di instabilità politica possa incidere sull’efficacia dei servizi di sicurezza e far diventare così l’Egitto una polveriera.
Infine, lo stato di pericolo in cui si trovano i copti sta rischiando di favorire l’alleanza tra gli stessi copti e i Fratelli Musulmani che, non a caso, sono stati pronti a portare la loro solidarietà ai cristiani subito dopo l’attentato di Alessandria. Un’avvisaglia se ne è avuta nelle manifestazioni senza precedenti dei cristiani al Cairo, che hanno preso di mira anche il Gran sceicco dell’Università al Azhar, Ahmed al-Tayeb, un “moderato” reo – per i copti – di essere vicino al presidente Mubarak. Al-Tayeb, non a caso, è stato l’unico in questi giorni a parlare di interferenze del Vaticano negli affari dell’Egitto. I cristiani accusano il governo di non garantire la loro sicurezza e potrebbero perciò saldarsi – loro malgrado – con i Fratelli Musulmani che “sparano” sul governo dalla direzione opposta. Peraltro una paradossale alleanza politica del genere non sarebbe una novità nello scenario mediorientale: è già avvenuta, almeno in parte, in Libano tra gli uomini del generale cristiano Aoun e gli hezbollah filo-iraniani.
Con le accuse alla Santa Sede, lo stesso al-Tayeb prima, e il presidente Mubarak ora cercano quindi di mandare messaggi soprattutto all’interno per dare un segnale di forza e affidabilità a quei settori che simpatizzano per l’intransigenza dei Fratelli Musulmani. Ma è anche il segnale che la situazione al Cairo è davvero difficile e l’unica strada possibile è procedere con la massima celerità a superare questo periodo di transizione.