Cattolici nelle banlieue culturali, ma c'è ancora domani
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Irrilevante. La cultura cattolica oggi è irrilevante. Perché il cattolico non riesce ad imparare la lingua del secolo. Ma se l'oggi non vuole essere evangelizzato, guardiamo al domani. Se non possiamo dare le perle ai porci, custodiamole per giorni più promettenti.
Irrilevante. La cultura cattolica oggi è irrilevante. E parliamo sia della cultura autenticamente cattolica sia di quella fintamente cattolica, tinta tra il verde ambientalismo e i multicolori LGBT. Quest’ultima è anonima perché mimetica, ossia imita, seppur con toni più sbiaditi, il trend popolare in fatto di costumi e scostumatezze. È una Chiesa camaleonte. E qui sta la condanna all’estinzione di tale cultura. Seguir la Chiesa docente quando, mollata la dottrina e diventata fan della chimica, bercia contro l’anidride carbonica? Meglio la Thunberg, perché più radicale. Decidersi di andare a Messa perché benedette sono pure le coppie omoerotiche? Preferibile Vladimir Luxuria o Alessandro Zan perché più puri nelle loro fatiche rivoluzionarie. Prendere in mano la Bibbia perché ormai abbiamo navi che raccolgono in mare migranti battenti la bandiera della CEI? Più credibile farsi battezzare come mozzo sulla Sea-Watch dal capitano Carola Rackete.
Veniamo però alla cultura autenticamente cattolica. Anche questa è sprofondata nella insignificanza più nera, ma per motivi opposti. Il mondo è nemico di Cristo e quindi anche del suo pensiero, fatto tutto di angoli acuti e lati taglienti. La nave di Pietro ha scaricato in un paio di scialuppe di salvataggio alcuni membri dell’equipaggio perché questi avevano deciso di continuare la spedizione in mare aperto, a loro affidata dall’Armatore, quando invece capitano ed ufficiali avevano pensato bene di tornare in porto. Difficile continuare la missione seppur non impossibile.
Fuor di metafora: il primo motivo dell’irrilevanza della cultura cattolica sta nel fatto che è sostenuta da quattro gatti. Secondo motivo: lo sparuto gruppo di superstiti comanda appunto un paio di bagnarole. A parte qualche eccezione, i cattolici, quelli veri, non sono direttori di importanti giornali, rettori di università, governatori di regione, ceo di grandi aziende, star di Hollywood. Il motivo è assolutamente conseguente a ciò che si appuntava prima: non c’è posto nel mondo per chi lo combatte. Ed infatti, nel rispetto del detto follow the money, la cultura cattolica vale economicamente zero. Zero è il suo peso nel mondo oggi.
Terzo motivo: il cattolico proprio non riesce ad imparare la lingua del secolo. Risultato: è incompreso, talmente incompreso che l’interlocutore capisce esattamente l’opposto di ciò che il cattolico si perita di comunicare e quindi muove a lui guerra perché il suo pensiero è inaccettabile. Il cattolico sostiene ad esempio che l’omosessualità, l’aborto e l’eutanasia siano dei veleni. L’interlocutore capisce che costui odia a morte l’omosessuale, la donna che ha abortito e il paziente che si è tolto la vita. Il cattolico spiega che il divorzio è contro l’amore coniugale. L’interlocutore capisce che costui è nemico della libertà delle persone. Il cattolico dice che Cristo è la salvezza per tutti. L’interlocutore capisce che costui non rispetta i seguaci delle altre religioni. Insomma, la cultura cattolica è incomunicabile perché non esiste un Google translator “Mondo-fede cattolica”. Mancano proprio le minime premesse comunicative, i praeambula della ragione. Se dici tondo e tutti, ma proprio tutti, capiscono quadrato non puoi che essere ignorato, anzi sempre più spesso perseguitato perché non hai ancora accettato il fatto lampante che il cerchio è fatto di angoli.
Il paradosso grottesco sta nel fatto che Papa Francesco ci esorta ad andare nelle periferie. Ma siamo noi che viviamo nelle periferie, nelle baraccopoli della storia (che però sono assolutamente degnissime perchè si celebra il culto a Dio con i sacri crismi). In centro ci stanno gli scippatori della speranza che ti hanno tolto la possibilità di cambiare vita dicendoti di rimanere nel peccato perché comunque Dio ti ama come sei; i truffatori della verità che, con la coscienza sporca, hanno sporcato anche le coscienze degli altri con il risultato che ciò che pare buono, allora buono lo è senz’altro; i violentatori del sacro che hanno stuprato la sacra liturgia; i sequestratori della dottrina che hanno chiesto come riscatto che tu spenga il condizionatore e applichi meglio la 194. Siamo dunque noi a vivere nelle banlieue culturali, nei sobborghi del pensiero. Siamo noi a far da contorno ad un’epoca così liquida che non ha più contorni.
Eppure c’è un eppure. Se il tempo odierno non vuole con tutte le sue forze essere evangelizzato, guardiamo al tempo futuro. Se non possiamo dare le perle ai porci, custodiamole per giorni più promettenti. Oggi forse tutti noi siamo chiamati a diventare, nel senso letterale del termine, conservatori. Custodi non di una cultura, ma dell’unica cultura che possa vantarsi di questo nome, per poi tramandarla in tempi migliori. Tutti noi siamo dunque chiamati a diventare monaci postmoderni. Tra il IV e l’VIII secolo i monaci conservarono la cultura classica e la medesima cultura cristiana mentre il mondo attorno a loro implodeva. I monasteri, si sa, divennero centri che brillavano nel buio della devastazione provocata dalle invasioni barbariche. Il termine “barbaro” deriva del greco e significa “balbettante”: ossia lo straniero per i greci era colui che balbettava l’idioma greco, colui che non sapeva parlare bene la loro lingua. Il barbaro oggi non sa parlare per nulla bene la lingua della fede, della verità, della carità. Noi allora dobbiamo vivere come monaci tra barbari.
E quindi ogni volta che tentiamo di spiegare a nostro figlio, il quale vuole andare a convivere, che è meglio non convivere con le scelte mediocri, ma che bisogna sempre puntare all’eccellenza quando si tratta di amore; all’amico che vuole divorziare che così divorzierà dalla propria felicità; alla collega che vuole il figlio in provetta che uccidere i propri figli non è il modo migliore per averne uno in braccio; ai ragazzi in oratorio che chi si vergogna di Cristo, Cristo si vergognerà di lui; ogni volta che faremo una di queste cose dovremo essere animati non dalla speranza che il nostro interlocutore venga persuaso dalla bontà dei nostri ragionamenti – in un mondo dove nessuno ragiona, l’intelletto è un tasto muto – bensì dalla speranza che agendo così noi perlomeno stiamo conservando il seme buono sotto la neve, custodiamo sottoterra un tesoro che un giorno qualcun altro dissotterrerà. Se non lo faremo, non rimarrà nulla della buona Novella domani.
È una evangelizzazione che guarda non tanto al figlio, amico, collega di oggi, ma al figlio, amico, collega di domani. Questo allora il nostro compito: noi dobbiamo diventare memoria per il futuro, memoria del futuro.