Cattolici in politica, quali criteri? Le carenze della rete di Trieste
La rete coordinata da Francesco Russo del PD vanta 600 sindaci cattolici, ma non ha un criterio per stabilire chi sia cattolico in politica e chi no. Il criterio non può essere solo la fede, bensì il rapporto coerente tra fede e politica, a partire dal rispetto dei principi non negoziabili.

Procede la “rete di Trieste”, coordinata da Francesco Russo del Partito Democratico che, sulla spinta della Settimana sociale dei cattolici italiani tenutasi a Trieste nel luglio 2024, sta cercando di collegare i sindaci cattolici. La carica dei 600, dal numero denunciato dall’organizzazione di quanti hanno aderito al gruppo, avrà un momento importante il prossimo 14 febbraio quando si terrà la Costituente della rete. Sul piano pratico vedremo come andrà a finire.
Sul piano del significato bisogna notare una stranezza: l’iniziativa vuole raccogliere i cattolici in politica – in questo caso nella politica amministrativa locale – ma senza un criterio per stabilire chi sia cattolico in politica e chi no. Anzi, basandosi sull’idea opposta, ossia che non ci siano criteri per stabilirlo. Allora ci si chiede: com’è possibile unire tra loro i sindaci cattolici se non esistono criteri per essere considerati sindaci cattolici? Come farà Russo a certificarli, come farà a selezionarli? E lui, il coordinatore, è proprio sicuro di essere un cattolico in politica, il che vuol dire fare una politica cattolica?
Il fatto di essere membri di una o dell’altra associazione o movimento cattolico aderente alla rete non dice nulla in proposito. Una tessera ai giorni nostri non attesta più niente, perché i primi a non aver chiari i criteri per essere cattolici in politica sono proprio le associazioni e i movimenti cattolici.
Un criterio possibile sarebbe quello dei “principi non negoziabili”, ossia un elenco di principi di ordine naturale e divino che dicono almeno cosa un cattolico in politica non dovrebbe mai fare. Ma ormai, dopo la morte di Benedetto XVI, chi se li ricorda più? Erano contestati già allora, oggi sono considerati completamente superati. Subito dopo la sua elezione, anche Francesco aveva negato ogni validità a questa dottrina. Senza i limiti di azioni che non si possono mai fare in politica, allora la politica può fare tutto, ma se i cattolici in politica possono fare tutto non sono identificabili, non hanno nessuna caratteristica comune.
Si può dire che abbiano una comunanza di fede. Però qui si parla di cattolici in politica. Il criterio per identificarli non può essere solo la fede ma il rapporto coerente tra la fede e la politica. Ebbene, oggi nella Chiesa si è persa completamente questa coerenza. Nessuno sa più cosa si deve fare per garantirla e ottemperarvi. Il motivo sta nel principio di Francesco: “Tutti, tutti, tutti!”. Nella Chiesa c’è posto per tutti, per liberali e comunisti, per cristiani e atei, per appartenenti alle altre religioni, per abortisti e sostenitori della cultura transgender, per chi vive relazioni di fatto e per chi è sposato, per chi affitta gli uteri altrui e per chi è fedele alla propria moglie, per chi pratica l’omosessualità e per chi si dedica ad altri orientamenti sessuali. Oggi lo dice Francesco, come nel 1967 lo scriveva Karl Rahner: «Il vero compito della Chiesa è quello di essere e diventare sempre più una società “aperta” anche nel proprio interno… In essa devono trovar posto conformisti e non conformisti, uomini dalle più varie tendenze politiche e filosofi delle più diverse scuole, catholique de droite e de gauche ecc.». Nella Chiesa la si può pensare all’opposto su tutto.
Tornando all’onorevole Russo e alla “rete di Trieste”: com’è possibile voler formare una rete senza sapere con quale criterio, chi tenere dentro e chi lasciare fuori, per quali fini combattere e quali altri invece tralasciare?
Stefano Fontana