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IL LIBRO

Caterina, la zarina à la page che divenne antigiacobina

La bellissima zarina Caterina di Russia che si intratteneva con gli illuministi del suo tempo e snobbava la Massoneria salvo poi diventare ferocemente anti giacobina e anti massonica dopo la Rivoluzione francese. Un libro di Marco Natalizi le rende giustizia. 

Cultura 26_11_2021

Morta nel 1796, la creatrice della potenza russa era tedesca, come molte delle mogli degli zar, l’ultima compresa. Da luterana aveva dovuto farsi ortodossa, come le altre: in questo la Santa Russia non transigeva. Il suo favorito (e insuperabile braccio destro politico) principe Potemkin, quando nel 1791 sentì suonare la sua ora, «chiese di uscire dalla carrozza e di essere adagiato nella steppa. Baciò la sua icona» e spirò.

Così scrive Marco Natalizi in Caterina di Russia (Salerno, pp. 546, €. 32), libro troppo fitto per i nostri spazi. Qui ci limiteremo ai rapporti della bellissima zarina con gli illuministi del suo tempo. Li aveva letti tutti, tant’è che aveva abolito la tortura e perfino, nel caso della mega-rivolta di Pugacev, fece giustiziare i responsabili evitando loro i supplizi previsti per l’alto tradimento. E dire che l’insurrezione era stata un vera e propria pugnalata alle spalle mentre la Russia era impegnata in guerra contro gli Ottomani (cui Potemkin strappò la Crimea).

Lei girava di notte in slitta per San Pietroburgo con pochi attendenti, aveva soccorso finanziariamente il più famoso filosofo d’Europa, Rousseau, in bolletta, aveva invitato alla sua corte gli Enciclopedisti. Ma aveva evitato accuratamente di prestare orecchio alle loro proposte di riforme politiche e sociali. Caterina, infatti, non era solo bella. Per giunta, era stata l’unica ad accogliere i gesuiti, scacciati da tutti i regni e pure dalle Americhe mentre il papa era stato costretto ad abolire il loro glorioso ordine.

Per quanto riguarda la massoneria, ormai diffusissima tra i nobili europei: «Caterina aveva giudicato le attività della massoneria inoffensive: quasi un bizzarro passatempo a cui i suoi cortigiani amavano indulgere». Nel 1779 accolse in visita anche Giuseppe Balsamo, sedicente conte di Cagliostro e inventore del rito massonico-egizio che chiamava di Memphis-Mishraim. La zarina, che era anche autrice di satire, sbeffeggiò lui, l’alchimia e la massoneria in tre commedie, che furono rappresentate: Il mistificatore, L’illuso e Lo sciamano siberiano.

Ma poi scoppiò la Rivoluzione Francese e Caterina aprì gli occhi. Due fatti in particolare la fecero saltare sulla sedia: uno, l’esecuzione di Luigi XVI. Ordinò che in tutta la Russia si osservasse il lutto per sei settimane. Quando apprese che «alcune dame di San Pietroburgo si erano presentate al Club Inglese indossando dei graziosi “berretti rossi giacobini”, a tutti i negozi di moda della capitale era stato severamente vietato, per ordine della zarina», di tenere merce simile.

L’altro fatto fu la scoperta che inviati massonici avevano preso segretamente contatto con l’arciduca Paolo, suo figlio. Caterina, che si era tolta di torno (con gran sollievo dei russi) lo zar suo marito Pietro, aveva dovuto ben presto constatare che suo figlio era uguale al padre e perciò aveva fatto, e faceva, di tutto per tenerlo lontano dalla politica. A quel punto blindò il Paese e instaurò una severa censura su tutto quel che sapeva di “giacobino”.

Lei, che era stata una mecenate e aveva creato istituzioni culturali, modernizzato le scuole, chiamato i migliori artisti da ogni dove. «Persino le opere dell’amato Voltaire verranno messe al rogo tra il 1793 e il 1794». In verità, più che amarlo, Caterina aveva cercato di portarlo via al suo nemico giurato, Federico di Prussia, per fare a quest’ultimo un dispetto.

Il libro di Natalizi fa giustizia anche di un paio di luoghi comuni: uno riguarda la spartizione della Polonia (tra Prussia e Russia). Il re, Stanislao Poniatowski, era stato messo sul trono da Caterina, di cui era stato il grande amore prima di Potemkin. Ma c’era una forte opposizione interna che voleva tornare alla repubblica confederata: fu questa a chiamare i russi in “fraterno aiuto”. L’altro concerne i famigerati «villaggi Potemkin», messe in scena con attori e cartapesta durante la visita della zarina ai nuovi territori. Frutto di propaganda sovietica.