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SECESSIONE O NO?

Catalogna nel limbo. Madrid screditerà Barcellona

Stallo in Catalogna, dopo il referendum del 1 ottobre e la semi-dichiarazione di indipendenza (sospesa). Ora la Comunità autonoma sarà commissariata. Difficile che la tensione degeneri in violenza. E il governo Rajoy punta a far luce sugli scandali di abuso di potere delle autorità locali catalane prima del nuovo voto, fra sei mesi.

Esteri 23_10_2017
Mariano Rajoy

Non ci sono segnali che la viva tensione politica con epicentro in Catalogna che dall’inizio di settembre agita la Spagna debba tracimare in violenze di piazza o addirittura in una guerra civile di bassa intensità. Gli ultimi sondaggi dicono che il 77,2% dei catalani desidera un dialogo senza precondizioni fra il governo autonomo della regione e quello nazionale; sull’insieme del territorio spagnolo il tasso dei fautori del dialogo istituzionale incondizionato segna il 70,8%.

A meno di infiltrazioni di provocatori o di gesti isolati di squilibrati, il melodramma continuerà ad avere la meglio sul dramma. Gli indipendentisti amano moltissimo il vittimismo, le pose eroiche, la retorica degli oppressi, la rievocazione dei fantasmi del passato (il franchismo), e per anni potranno recitare queste parti gratificanti, dare un senso alla loro vita pubblica e privata, coltivare un’immagine impavida, immaginare il proprio nome e la propria foto sulle pagine dei libri di storia di domani. Non andranno verosimilmente al di là della teatralizzazione della loro sfida politica, perché tengono ancora molto al proprio benessere materiale e sono consapevoli che la grande maggioranza dei catalani (compresi molti di quelli che si sono recati alle urne per il referendum illegale) non è disposta a sacrifici significativi in vista del miraggio dell’indipendenza.

All’indomani del voto del 1° ottobre la sfida fra Barcellona e Madrid è andata in surplace: ognuna delle due parti si è messa ad aspettare la prima mossa dell’altra. Il governo Rajoy aspettava la dichiarazione di indipendenza di Puigdemont per poter reagire con legittimi provvedimenti repressivi, il governatore catalano temporeggiava per potersi presentare come colui che aveva cercato il dialogo e si era visto rispondere con l’intransigenza. Da qui le schermaglie con la semi-dichiarazione di indipendenza di Puigdemont, la richiesta di chiarimenti da parte di Rajoy e infine sabato l’annuncio che il commissariamento della Catalogna a norma dell’articolo 155 della Costituzione spagnola è imminente.

Il governatore catalano riuscirà forse a presentarsi ancora davanti al parlamento regionale prima di essere esautorato insieme al suo governo, ma non si capisce bene cosa possa fare al di là di qualche atto simbolico. Entro sabato prossimo lui, il vicepresidente Junqueras e i ministri saranno destituiti dalle loro funzioni e un organo collegiale nominato dal governo nazionale li sostituirà. Le funzioni dei ministeri catalani saranno trasferite ai ministeri nazionali, anche se tutto l’apparato amministrativo, dirigenti compresi, resterà al suo posto. Tranne due nuclei dirigenziali che perderanno sicuramente il posto: quello dei Mossos de Esquadra, cioè della polizia autonoma regionale, e quelllo di Tv3, l’emittente catalana pubblica da tempo trasformata in megafono degli indipendentisti. Sotto stretto controllo del centro saranno messe le finanze e il bilancio. C’è da giurare che finiranno sotto la lente d’ingrandimento la gestione economica, finanziaria e tributaria dell’autonomia, non solo le entrate e le uscite ma le partecipazioni in imprese pubbliche regionali.

Il provvedimento che Rajoy porta al voto del Senato (col pieno accordo dei socialisti del Psoe e dei centristi di Ciudadanos) prevede che entro sei mesi siano indette e si svolgano nuove elezioni per il parlamento e il governo della Catalogna. Nonostante il capo del governo nazional abbia assicurato che il ritorno alle urne avverrà il prima possibile, c’è da giurare che il voto avrà luogo più verso la fine dei sei mesi che poco dopo il loro inizio, e non solo per diluire il clima di tensione che si respira in queste settimane. I commissari governativi avranno bisogno di un po’ di tempo per trovare le carte giuste per accusare di malversazione, appropriazione indebita, distrazione di fondi pubblici, appalti addomesticati, ecc. i responsabili degli esecutivi indipendentisti catalani che si sono succeduti negli ultimi anni. È interesse delle forze politiche che si oppongono alla secessione che la fitta rete clientelare che gli autonomisti prima e gli indipendentisti poi hanno tessuto negli anni in cui hanno governato venga alla luce prima che i catalani tornino a votare. I tre partiti apertamente contrari alla secessione - Pp, Psoe e Ciudadanos - in Catalogna alle ultime elezioni, che hanno visto  una partecipazione del 75%, insieme hanno ottenuto appena il 40% dei voti. Questo significa che una maggioranza indipendentista come quella che ha poi scelto il centrista Puigdemont per governare la regione e portarla al referendum potrebbe uscire di nuovo vincitrice dalle urne. A meno che un’onda emotiva uguale e contraria a quella che presenta i legittimi atti repressivi di Madrid volti a ripristinare l’ordine costituzionale come espressione di neo-franchismo e di disprezzo per i diritti del popolo catalano non influisca sull’opinione pubblica con la stessa forza. Quell’onda potrebbe essere costituita dalle rivelazioni sull’uso più che disinvolto del denaro pubblico che la Generalitat ha fatto nelle ultime legislature.