Catalogna al voto tra mille incertezze
Mancano 24 ore alla più drammatica tornata elettorale della storia della Spagna post-franchista: dopo il referendum indipendentista dello scorso ottobre, le elezioni in Catalogna assumono grossa importanza. Rischio ingovernabilità.
Mancano 24 ore alla più drammatica tornata elettorale della storia della Spagna post-franchista, e poche sono le certezze che si possono desumere dai sondaggi. Il voto non è nazionale e riguarda solo la Catalogna, ma dopo il referendum unilaterale per l’indipendenza del 1° ottobre scorso, l’annuncio della secessione, lo scioglimento del governo regionale da parte di Madrid, l’arresto o la fuga all’estero dei principali membri dell’esecutivo, la crisi catalana è diventata crisi nazionale e gli occhi di tutta la Spagna sono puntati agli schermi e ai tabelloni sui quali appariranno i risultati del voto del 21 dicembre.
Tre al momento sono le certezze. La prima riguarda il tasso di partecipazione al voto, destinato a superare nettamente quello delle regionali del 2015: allora si recarono alle urne quasi il 75 per cento degli aventi diritto, stavolta si stima di superare l’82 per cento, segno dell’importanza attribuita al voto. La seconda certezza è che i tre partiti costituzionalisti, apertamente contrari all’indipendenza della Catalogna – Ciudadanos, Psc e Pp - non saranno in grado di formare insieme una maggioranza di governo alternativa a quella indipendentista uscente. La terza certezza è che il blocco secessionista – Erc, Junts per Catalunya (JpC) e Cup - conquisterà meno seggi dei 72 ottenuti nel 2015 e una percentuale di consensi più bassa.
Dopodiché cominciano le incertezze. La prima e la più grossa riguarda la coalizione indipendentista: la sua vittoria è probabile, ma non è affatto certo che potrà disporre della maggioranza assoluta per governare come è accaduto due anni fa. I sondaggi le attribuiscono dai 64 ai 69 deputati, forchetta che sta a cavallo della maggioranza assoluta che garantisce la governabilità: 68 deputati su 135. La seconda incertezza riguarda il partito che conquisterà più voti: è testa a testa fra l’Erc, partito storico della sinistra repubblicana indipendentista, e Ciudadanos, formazione centrista in ascesa fra i costituzionalisti.
Dovesse vincere il partito guidato dalla giovane Inés Arrimadas (36 anni), sarebbe la prima volta nella storia della Spagna post-franchista che in Catalogna il partito più votato non è autonomista: solo nel 1999 i socialisti in coalizione con una lista civica superarono di un’incollatura il CiU di Jordi Pujol, che fu ininterrottamente governatore della Catalogna per 23 anni dal 1980 al 2003, ma a causa del disegno delle circoscrizioni elettorali conquistarono meno seggi. Tuttavia – e qui si passa dalle previsioni elettorali alle previsioni politiche - anche in caso di conquista del primo posto è virtualmente impossibile che Ciudadanos salga al potere. Tutti gli altri partiti, tranne i popolari, si dicono indisponibili a una coalizione con la Arrimadas.
Nel caso dunque che il blocco secessionista, come è probabile, si attesti attorno al 45-46 per cento e non riesca a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi, tre sono gli scenari possibili, in ordine di probabilità: il primo è un governo tripartito che vedrebbe convergere i socialisti con Erc e JpC; il secondo è un diverso tripartito sempre coi socialisti e l’Erc, ma con Catalunya En Comú Podem (il partito del sindaco di Barcellona Ada Colau) al posto di JpC; il terzo scenario è una ripetizione del voto per l’impossibilità di formare un governo regionale sulla base dei risultati del 21 dicembre.
Il Partito socialista catalano, un tempo seconda forza politica della Catalogna dopo il CiU di Jordi Pujol con percentuali superiori al 30 per cento, e poi precipitato al 14 per cento alla fine dell’era Zapatero, fino al 12,7 per cento del 2015, intravede la storica possibilità di tornare in gioco ai massimi livelli. Il suo candidato alla presidenza Miquel Iceta ha condotto la campagna elettorale corteggiando gli indipendentisti e prendendo le distanze da Ciudadanos e Pp. Ha proposto un “indulto” per i dirigenti secessionisti arrestati o latitanti all’estero ancora prima che siano processati, e ha espresso il suo dissenso rispetto alla proposta di Inés Arrimadas di riformare il sistema scolastico catalano, che obbliga tutti gli studenti delle scuole pubbliche a studiare esclusivamente in catalano. Ha già avanzato la sua candidatura a governatore nel caso che il blocco indipendentista non raggiunga la maggioranza assoluta, chiedendo a Ciudadanos e Pp di appoggiarlo dall’esterno mentre il suo programma verrebbe concordato con gli indipendentisti.
Il Psc si contende il terzo posto – dopo Erc e Ciudadanos - con JpC, in grande ripresa nei sondaggi. Dopo i fatti di ottobre, il partito di Carles Puigdemont appariva in caduta libera per via dell’ingloriosa fuga in Belgio del suo leader, mentre l’esponente di punta di Erc, Oriol Junqueras, affrontava coraggiosamente la prigione. Nei sondaggi era sprofondato al 10 per cento. Ora pare sia rimbalzato fino al 18 per cento, portando via consensi proprio all’Erc. Puigdemont ha approfittato della libertà e dell’attenzione dei media per condurre da Bruxelles una campagna dai toni retorici particolarmente enfatici, mentre dal carcere di Estremera Junqueras ha avuto poche occasioni di rivolgersi direttamente all’elettorato. Fra i due leader sono scoccate scintille, col secondo che rimproverava al primo di essersi nascosto mentre lui affrontava le conseguenze delle sue azioni, e il secondo che ribatteva di non essersi nascosto ma di essersi solo difeso dalla repressione spagnola.
Le tensioni fra le due principali forze indipendentiste potrebbero anche sfociare nell’esclusione di JpC, che è partito di centrodestra, da un futuro governo più ideologicamente omogeneo perché sostenuto da tre partiti di sinistra: la sinistra liberal di Erc, la sinistra istituzionale rappresentata dal Psc e la sinistra ambientalista e dei movimenti per la casa di En Comú Podem. Quest’ultimo partito non si riconosce né nell’indipendentismo né nel costituzionalismo, pronto a diventare l’ago della bilancia del futuro esecutivo, ma non in condominio con partiti che considera “neoliberisti” come Ciudadanos e Pp.
Qualunque dei due sia il tripartito che governerà la Catalogna nei prossimi anni (nel caso che il blocco indipendentista non conquisti, come pare, la maggioranza assoluta), la linea che adotterà sarà una combinazione di richieste politiche e sociali atta a salvare la faccia di chi ne farà parte. L’Erc ed eventualmente JpC insisteranno a chiedere l’avvio di un negoziato con Madrid per l’indizione di un nuovo referendum per l’indipendenza pienamente legale riservato agli elettori della Catalogna e a chiedere il proscioglimento di quanti sono stati arrestati o sono inseguiti da mandato di cattura per violazione della Costituzione, abuso di potere e malversazione.
I socialisti ed eventualmente En Comú Podem insisteranno per una riforma della Costituzione spagnola che riconosca maggiori poteri a tutte le comunità autonome; tutte insieme, le forze politiche della maggioranza rivendicheranno più investimenti strutturali in Catalogna da parte dello stato centrale, soprattutto nel settore dei trasporti, e una quota più alta del residuo fiscale da trattenere nelle casse della comunità autonoma.