Caso Lavrov-Mediaset, inaccettabile censura di Draghi
Si può discutere il merito delle frasi del Ministro degli Esteri russo a Rete 4 lunedì sera, ma non il diritto del giornalista a intervistarlo senza contraddittorio. È anche quello che ha stabilito la Cassazione nel 2001, ed è grave che il premier Draghi invochi invece la censura.
Ieri in tutto il mondo è stata festeggiata la Giornata della libertà di stampa. Parate, proclami e impegni solenni si sono registrati più o meno in ogni angolo del pianeta, da parte di governanti e rappresentanti del mondo dell’informazione. Ma qualche voce fuori dal coro c’è stata. E questa volta non è una buona notizia. C’è stato infatti chi ha pensato bene di celebrare la Giornata internazionale della libertà di stampa censurando l’operato di un giornalista.
Il premier Mario Draghi, nella conferenza stampa di lunedì sera, ha attaccato senza mezzi termini Giuseppe Brindisi, conduttore di Zona Bianca, trasmissione di Rete4 Mediaset, per aver intervistato Sergej Lavrov, Ministro degli Esteri russo, e per averlo fatto parlare senza contraddittorio o domande incalzanti. Da una parte il Presidente del Consiglio ha ricordato che Lavrov vive in un Paese, la Russia, dove la libertà d’informazione non esiste perché c’è la censura; dall’altra, però, ha sostenuto che quell’intervista non si sarebbe dovuta fare e che dunque il politico in questo momento più decisivo per le sorti della guerra non avrebbe dovuto avere diritto di parola. L’ennesima contraddizione. Non bastava quella di continuare a inseguire la pace esportando armi, ora c’è anche quella di demonizzare gli Stati autoritari che imbavagliano la stampa, salvo poi censurare le voci di dissenso ospitate in una libera trasmissione televisiva.
La polemica si è fatta rovente, anche perché altri esponenti politici soprattutto di sinistra, come Enrico Letta, hanno sposato in pieno il punto di vista di Draghi, parlando addirittura di “onta” e di “propaganda televisiva filo-russa”. Si può discutere il merito delle frasi pronunciate da Lavrov, ma non si può negare il diritto del giornalista Mediaset di intervistare uno dei soggetti più significativi dell’attuale scacchiere internazionale, assai ingarbugliato.
Brindisi ha raccontato di aver impiegato tre settimane per attivare i canali giusti e ottenere quell’intervista e ha anche spiegato che non avrebbe potuto incalzare più di tanto l’interlocutore durante la diretta televisiva: avrebbe rischiato, infatti, di irritarlo e di perdere l’opportunità di ascoltare dalla sua viva voce alcuni particolari della narrazione russa ancora non del tutto noti.
In questa circostanza il ragionamento del giornalista Mediaset non fa una grinza, anche se va detto che, in molte puntate dedicate al Covid, Brindisi non ha dimostrato analoga apertura pluralista e ha spesso interrotto i suoi ospiti “non allineati”. Con Lavrov non ha quasi mai detto nulla e motiva così la sua scelta: «Io credo da giornalista di aver fatto il mio mestiere, perché il mio mestiere non è quello di dichiarare guerra alla Russia, ma di portare a casa il maggior numero di notizie, e alla fine dei 40 minuti di intervista mi sembra di averne portate un bel po' e anche importanti».
Secondo i detrattori di quell’intervista, si sarebbe invece trattato di un comizio senza contraddittorio e dunque di un’opportunità mediatica immeritatamente offerta al Ministro degli Esteri russo, che certamente ha pronunciato frasi forti su Hitler e gli ebrei, scatenando anche le ire del governo israeliano. E non fa una piega neppure l’intenzione dichiarata da Brindisi di provare ad avere anche Putin ai suoi microfoni: «Se potessi – ha osservato ancora Brindisi - inviterei di nuovo Lavrov non domani mattina, ma anche stasera. Tutta la vita. Se posso lo faccio rivenire. Se posso io cerco di avere Putin. Ma che mestiere facciamo? Tutte le anime candide anche fra noi colleghi…., cioè, riesci a contattare Lavrov e poi dici ‘mannaggia, però questo è un demonio, un mostro, non gliela faccio l’intervista?’. Ma in quale mondo? Se vogliamo prenderci in giro, ci prendiamo in giro, se no no. Io la faccio stasera l’intervista. Non c’è ombra di dubbio. E il ministro degli Esteri russo, cioè uno degli uomini che ha in mano le chiavi della guerra ma ha anche le chiavi della pace del mondo. Ma stiamo scherzando? Ripeto, cosa avrei potuto fare?».
Eppure la vicenda non finisce qui. Si sta muovendo il Copasir, che ascolterà i vertici Rai e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. E l’intento è davvero molto evidente: condizionare la scelta degli ospiti delle trasmissioni televisive sulla base degli orientamenti politici del Governo.
È giusto tutto questo? Oltre che essere discutibile sul piano delle garanzie per la libertà d’espressione, appare contrario alla giurisprudenza consolidata in materia di interviste. La Cassazione, in una memorabile sentenza del 2001, mai contraddetta da pronunce successive, ha chiarito che la qualificazione pubblica dell’intervistato, unita all’originalità delle frasi pronunciate, esonera il giornalista dall’obbligo di verifica della veridicità delle sue affermazioni. In altre parole la notizia non sta nelle parole pronunciate nell’intervista da Lavrov, la notizia è l’intervista stessa, il fatto stesso di essere riuscito ad averlo ai microfoni di Rete4.
Dunque non spettava al giornalista censurare le sue parole o contraddirle. Brindisi ha correttamente fatto le domande e ha registrato le risposte del suo interlocutore, chiarendo di tanto in tanto che si trattava di opinioni personali e lasciando intendere che non le condivideva. Condannare quell’intervista, quindi, vuol dire comprimere sia la libertà di stampa del giornalista che il diritto dei cittadini ad essere informati ascoltando anche l’altra campana. Ma Draghi, evidentemente, la pensa in maniera diversa. E, come lui, molti altri.