Caso Almasri, a sinistra trionfa l'ipocrisia
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Sebbene sia stata sciagurata la gestione del caso Almasri da parte del governo, nel dibattito in Parlamento l'opposizione ha dato il peggio di sé, a cominciare dagli ex premier Renzi e Conte.
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Che il governo si sia complicato la vita da solo sul caso Almasri è evidente. Un premier che anziché porre fin da subito il segreto di Stato su una vicenda spinosa si limita a spiegare in un video autoprodotto una questione di innegabile interesse nazionale presta inevitabilmente il fianco a critiche e sospetti. Giorgia Meloni sarebbe dovuta andare in Parlamento e, visto che siamo in una Repubblica parlamentare, informare la nazione delle evidenti ragioni che giustificavano il rimpatrio del cittadino libico su un volo di Stato. Le contraddizioni emerse nella discussione di mercoledì alla Camera, con il ministro della giustizia Carlo Nordio che in parte è stato sconfessato dal suo collega di governo Matteo Piantedosi, ministro dell’interno, non sono uno spettacolo edificante per un governo che ha una maggioranza ampia nel Paese.
Ma osservando l’atteggiamento delle opposizioni in questa vicenda ci si rende conto che forse il governo ha fatto bene ad andare avanti per la sua strada, difendendo gli interessi italiani e gestendo in maniera strategica i delicati rapporti con la Libia, che sono importantissimi per il nostro Paese soprattutto sul fronte dell’immigrazione e dell’approvvigionamento energetico.
Le opposizioni hanno ovviamente cavalcato questa difficoltà del governo e si sono ricompattate, sparando a zero sull’operato dell’esecutivo. Volendo usare una metafora calcistica, hanno avuto la possibilità di tirare un calcio di rigore a porta vuota, proprio a causa dell’approssimazione con cui la Meloni e soci hanno gestito la partita Almasri.
Nel frattempo la Corte penale internazionale dell'Aia ha aperto un fascicolo di indagine sull'operato del governo italiano per «ostacolo all'amministrazione della giustizia ai sensi dell'articolo 70 dello Statuto di Roma» in relazione alla vicenda del generale Almasri. Nella denuncia ricevuta dall'Ufficio del Procuratore, che l'ha trasmessa al cancelliere e al presidente del Tribunale internazionale, sono indicati i nomi di Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi. Il caso, quindi, lungi dall’essere chiuso, potrebbe riservare ancora molte sorprese in termini di grattacapi per il nostro esecutivo.
Nel dibattito parlamentare di due giorni fa, le opposizioni di sinistra hanno seguito un atteggiamento intransigente e preconcetto, dimostrando una chiara indisponibilità ad ascoltare e a considerare le circostanze emerse dalle comunicazioni ufficiali. Il ministro della giustizia Carlo Nordio ha chiarito come, in merito alla vicenda, ci fossero stati errori da parte della Corte dell’Aia nella stesura dei documenti, successivamente corretti, ma nonostante queste dettagliate spiegazioni, le opposizioni non hanno mostrato alcuna apertura ad un confronto costruttivo.
La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha ignorato le nuove informazioni e ha mantenuto il suo discorso, già scritto prima della seduta, riducendo le circostanze giuridiche a meri "cavilli" e accusando il ministro Nordio di difendere il generale libico. Schlein ha continuato a criticare la premier Giorgia Meloni per non aver affrontato direttamente il Parlamento sul caso, attaccandola anche con epiteti come "coniglio", accompagnati da cartelli alzati dai deputati di sinistra. Una linea che è stata seguita anche da Giuseppe Conte, il quale ha aggiunto le sue accuse di viltà e obbedienza agli ordini internazionali, criticando la Meloni per aver ceduto alle pressioni di Tripoli, Bruxelles e Washington. Bisognerebbe tuttavia ricordargli che quando era premier tentava di coccolare Trump e amava essere coccolato da lui (“Giuseppi”).
In questo clima di scontro politico è emersa con forza la questione della riforma della giustizia, vera posta in palio in questo braccio di ferro. Il ministro della giustizia ha ribadito l’impegno del governo a portare avanti una riforma davvero necessaria, come dimostra anche l'uso strumentale che parte della magistratura ha fatto del caso Almasri per attaccare l’esecutivo.
Ma la cosa davvero stucchevole della vicenda riguarda la sfrontatezza con la quale due ex premier si sono avventurati in discorsi davvero ipocriti e strumentali nei confronti della Meloni e del suo governo. Matteo Renzi, che aveva promesso di abbandonare la politica dopo la sconfitta nel referendum del 4 dicembre 2016, continua a rimanere in pista e a chiedere le dimissioni altrui, mentre Giuseppe Conte, che ha cambiato alleanze politiche per rimanere al governo, passando da un governo giallo-verde a uno giallo-rosso, ora pretende di dare lezioni di moralità all’esecutivo in carica.
L’atteggiamento disfattista e stroncatorio degli esponenti della sinistra, motivato dalla necessità di nascondere il proprio vuoto progettuale e le divisioni interne, è ancora più disarmante della sciagurata gestione della vicenda Almasri da parte del governo. Il dibattito parlamentare sulla vicenda è stato lo specchio di un Paese con una classe politica mediocre, lacerata da divisioni esclusivamente fondate sulla lotta per il potere e priva di sensibilità verso il bene comune e l’immagine dell’Italia all’estero.
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