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BOOM DI RICHIESTE

Cashback, se buonsenso e privacy valgono 150 euro

Nel primo giorno di cashback di Stato, oltre ottomila italiani al secondo hanno scaricato l’app IO che consente di ottenere il rimborso del 10% sugli acquisti, e fino a un massimo di 150 euro. Il sistema è andato in tilt. Il boom di richieste si spiega sia con la crescita delle povertà sia con il bassissimo valore che si dà ai propri dati personali.

Attualità 10_12_2020

A sei mesi dalla sua attivazione, solo dieci milioni di italiani (uno su sei) hanno scaricato sul loro cellulare la tanto declamata app Immuni, che avrebbe dovuto proteggerci dai contagi da Covid. Chi non l’ha fatto ha prevalentemente addotto ragioni di privacy, ritenendo che non fosse sicuro il trattamento dei dati da parte di chi li avrebbe acquisiti per finalità sanitarie.

Nel primo giorno di cashback di Stato, oltre ottomila italiani al secondo hanno invece scaricato sul loro apparecchio telefonico l’app IO, che consente di ottenere il rimborso del 10%, e fino a un massimo di 150 euro, delle spese sostenute per acquisti effettuati in presenza con carte di credito e strumenti di pagamento elettronici.

Ancora una volta, però, il sistema è andato in tilt a causa del boom di richieste. È una costante delle iniziative del Governo in materia di digitalizzazione. Si ricorderà che anche il sito dell’Inps, durante il primo lockdown, si era bloccato a causa della congestione sulla Rete provocata dall’accesso frenetico di milioni di lavoratori autonomi che scalpitavano per chiedere il bonus dei 600 euro. Problemi si erano registrati anche in occasione del “click day”, cioè quando bisognava incassare il bonus per comprarsi una bici o un monopattino: flop anche in quell’occasione. Intoppi meno eclatanti ma comunque fastidiosi ci sono stati a proposito dei ristori chiesti dalle categorie penalizzate dalle chiusure. L’intervento dell’Agenzia delle entrate non si è infatti rivelato puntuale ed efficace, e le solenni promesse fatte dalla politica non sono state mantenute.

Ora anche il cashback di Stato si è dimostrato un colabrodo. In meno di 48 ore, circa 5 milioni di italiani hanno cercato di accedere alla app IO, ma in molti non ci sono riusciti. Nonostante questo, hanno tentato e ritentato, perdendo ore e ore in un’impresa che si è rivelata più difficile del previsto.

Il boom di richieste va letto in modo duplice. Da una parte crescono in modo esponenziale le povertà. Centinaia di migliaia di persone che in altri periodi non avrebbero dedicato particolare attenzione a un’opportunità del genere oggi hanno impellenti necessità di sopravvivenza e si aggrappano a tutto. Anche 150 euro possono fare la differenza, dunque meglio fare di tutto per accaparrarseli. Dall’altra si comprende come la privacy, nella percezione collettiva, abbia un bassissimo valore, se è vero che milioni e milioni di italiani se ne ricordano se occorre scaricare una app come Immuni, che a pieno regime potrebbe anche evitare qualche contagio da Covid-19, mentre se ne dimenticano quando c’è in ballo qualcosa di monetizzabile.

Eh già, perché la gente non immagina quanti dati personali si debbano inserire nella app IO per poter accedere al cashback di Stato. Si comincia con i dati personali, compresa la residenza e il codice fiscale, per poi scivolare sulle informazioni più riservate come gli estremi della carta di credito e del bancomat e l’Iban del conto corrente sul quale, se tutto andrà bene, il titolare potrebbe ricevere nei prossimi mesi il rimborso del 10% degli acquisti, con un tetto massimo, come si diceva, di 150 euro. Verrebbe da dire che per molti milioni di italiani la propria privacy vale meno di 150 euro, se a cuor leggero decidono di rinunciarvi. Senza contare che ogni acquisto effettuato con gli strumenti di pagamento elettronici obbliga ciascuno di noi a lasciare tracce in Internet delle proprie abitudini di consumo, delle proprie preferenze, dei propri gusti. Quando si dice che “sanno tutto di noi” si fa riferimento proprio alle sistematiche azioni di profilazione compiute rispetto alle nostre scelte commerciali.

Le iniziative messe in campo dal Governo per digitalizzare le attività si sono rivelate alquanto deficitarie anche per le carenze delle infrastrutture di rete, assolutamente non in grado di reggere ampi e sostenuti volumi di traffico on line. Gli effetti degli investimenti massicci collegati al Recovery Plan si vedranno fra almeno cinque anni. Nel frattempo il digital divide, sia sul piano tecnologico che sul piano culturale, creerà nuove disuguaglianze nell’accesso al Web.

Senza contare che la demonizzazione del contante, motivata dall’ambizione di contrastare l’evasione fiscale, presenta profili di incostituzionalità che anche autorevoli esponenti del diritto e della finanza hanno messo in evidenza.