«Case green: sminate due trappole, ma l'Europa ci lascia al verde»
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Passa la direttiva dell'Europarlamento sulle Case green. Ma poteva andare peggio con «l'obbligo dei cittadini di ristrutturare casa e l'esclusione dell'accesso al credito per i fragili». La relatrice ombra Isabella Tovaglieri (Lega) mette in guardia: «Misura ideologica, dall'Europa niente fondi, incentivi inutili senza indipendenza energetica».
Dopo due anni di lavoro l’Europarlamento ha approvato (col voto contrario di tutto il centrodestra) la direttiva che obbliga i singoli Paesi a definire i piani per la riduzione dei consumi del loro patrimonio edilizio residenziale. Case green, così è stata ribattezzata la direttiva che vede come anno zero il 2020 e che sposta il suo termine al 2050 con un obiettivo ambizioso: rendere il patrimonio edilizio nazionale a emissioni zero. Dunque: pannelli fotovoltaici, pompe di calore, cappotti termici. Ambizioso, ma anche utopistico, se si pensa che al momento da parte dell’Ue, che ha sostanzialmente imposto questa ennesima direttiva nel segno del green, non ha predisposto alcun fondo specifico, nonostante si parli di costi per centinaia di miliardi di euro.
Dovranno pensarci i singoli stati, ma al di là della realizzabilità del piano, non sono mancate le polemiche e i rischi che la legge diventasse un vero e proprio cappio al collo dei proprietari di casa, che in Italia, a differenza di altri paesi dove i residenti sono inquilini di grandi fondi, è una vera e propria riserva aurea nazionale. Già le condizionalità sono da diktat: non restauri, subito una svalutazione dell'immobile di circa il 40%. Ma non è questa la sola trappola disseminata.
A correggere la direttiva, eliminando i due rischi principali, è stata la Lega che ha rivendicato di aver stoppato le misure più pericolose per l’Italia nel segno dell’ideologia green. E in particolare Isabella Tovaglieri (in foto), eurodeputata del Carroccio e componente della Commissione Industria ed energia al Parlamento europeo. Ma soprattutto unica relatrice ombra italiana, per il gruppo Identità e Democrazia, che ha presentato oltre 100 emendamenti al testo. «La Sinistra li ha respinti tutti, salvo poi inserire molte nostre modifiche nel testo finale, così abbiamo sminato due trappole», racconta in questa intervista alla Bussola nella quale spiega il grande rischio corso e la posta in gioco che si cela dietro la rassicurante espressione “Case green”.
Una vera e propria battaglia, a quanto raccontano le cronache parlamentari…
Questo voto che abbiamo fatto in Plenaria arriva al termine di due anni di negoziati che si sarebbero potuti assolutamente risparmiare se le Sinistre avessero ascoltato anche l’opposizione. Sono stata l’unica relatrice ombra italiana a seguire questo dossier, ma facendo parte del gruppo Identità e Democrazia, siamo stati esclusi dalle trattative. Però non ci siamo dati per vinti e quando il testo è passato al Consiglio è lì che siamo riusciti a far passare gli emendamenti e a migliorare il testo.
Perché, inizialmente che cosa doveva prevedere?
Due erano le misure più pericolose che siamo riusciti a fermare.
La prima?
L’obbligo diretto di ogni singolo cittadino di dover ristrutturare il proprio immobile facendo un doppio salto di classe entro il 2033 a proprie spese.
Infattibile, oltre che vessatorio…
Con una spesa media per ogni famiglia di 45mila euro.
E la seconda criticità che avete fermato?
Nelle intenzioni iniziali era previsto che le banche potessero finanziare solo le categorie di case in alta classe energetica; quindi, tutte quelle non performanti non sarebbero rientrate nei finanziamenti, neanche come accesso al credito. Una follia, se si pensa al cittadino che ha investito i risparmi di una vita nella casa e sarebbe stato destinato a indebitarsi per potersela godere.
Al di là di tutte le problematiche che la direttiva porta con sé, a cominciare dallo stop ai bonus per la sostituzione della caldaia dal 2025, qual è ora lo scoglio?
Il tema fondamentale è: chi paga?
Non più il cittadino?
L’obbligo è stato trasferito dal singolo cittadino allo Stato membro. Le varie tappe fino al 2050, con l’obiettivo della decarbonizzazione totale, puntano a intervenire sugli immobili meno efficienti e più vecchi, ma stiamo parlando di immobili di proprietà delle persone più fragili, circa 5 milioni di immobili.
Dunque, chi paga?
Alla fine, una ricaduta economica per i cittadini ci sarà, ma quello che è inconcepibile è la rigidità dell’Europa nell’uniformare i provvedimenti senza considerare le esigenze dei singoli Stati. Non si può pretendere di trovare la soluzione unica adatta a tutti. Prendiamo la Lombardia?
Sì…
Non si può accusarla di essere più inquinata di altre regioni europee. In realtà in Lombardia c’è l’aspettativa media di vita più alta d’Europa.
E quindi?
Questo dimostra che industria e allevamenti presenti potranno avere anche incidenza in termini di emissioni, ma quando generi ricchezza, la ricchezza di traduce in maggiore qualità di vita e servizi. Invece l’Europa vuole andare con la mannaia. E sul versante economico ci dice di arrangiarci: fa riferimenti generici al PNRR, ma senza considerare che quei fondi sono già tutti impegnati e solo per una minima parte per l’efficientamento energetico.
La domanda sul chi paga inevitabilmente riporta alla memoria il capitolo 110, però…
Ogni Stato dovrà prevedere degli incentivi, ma non possiamo pensare di ristrutturare il parco italiano solo con i soldi pubblici. Il 110 non può essere più la soluzione perché ha evidenziato due macro-problemi.
Quali?
Un problema di prezzi, perché se chi mi vende il materiale e chi lo compra non hanno un sano conflitto di interessi viene meno quella variabile che c’è in ogni competizione. Inoltre, abbiamo speso tutti questi soldi per un beneficio ambientale risibile. In pratica, stiamo chiedendo sacrifici ai cittadini, ma a livello ambientale non stiamo riducendo la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Il problema è più ampio.
Cioè?
Non possiamo promuovere questi sacrifici se prima non abbiamo sistemato il grande problema di questo Paese, cioè quello dell’approvvigionamento energetico. Le politiche di incentivazione funzionano se ho un’efficiente politica energetica. Se non aumentiamo l’approvvigionamento da fonti rinnovabili non riusciremo a fare nemmeno politiche di incentivo.
Ma questo non rischia di fomentare l’ideologia green che dite di combattere?
Infatti, l’approccio ideologico è stato quello che finora ha avuto la meglio e ne vediamo anche i risultati. Bisogna affermare prima il principio dell’indipendenza energetica e questo deve essere chiaro anche per un discorso di sicurezza nazionale.