Caruso, l'origine religiosa del primo divo discografico
Enrico Caruso, celeberrimo tenore napoletano, primo divo dell'era discografica, aveva imparato a cantare in chiesa. Grazie al reverendo Giuseppe Bronzetti, iniziò nel coro della parrocchia di Sant'Anna delle Paludi. E in punto di morte venne seguito dal medico-santo Giuseppe Moscati.
Cento anni fa, come oggi, a soli quarantotto anni moriva a Napoli il tenore per eccellenza: Enrico Caruso. Era nato nella Metropoli partenopea il 27 febbraio 1873 in una famiglia numerosa e fin da bambino cantare era la cosa che più gli piaceva. Grazie al Rev. Giuseppe Bronzetti, parroco della Chiesa di Sant’Anna delle Paludi, fece le sue prime esperienze vocali, prima come «contraltino» nel coro, poi come solista nella Messa di Saverio Mercadante (1795-1870) e nella farsa I briganti nel giardino di Don Raffaele di Alessandro Fasanaro.
Egli stesso racconta i suoi esordi in una lettera del 10 giugno 1906: «Cominciai a cantare a dieci anni [...] nelle chiese. Facevo la delizia di tutti i buoni fedeli, almeno così reputo, perché nessun segno di disapprovazione io mai ebbi da essi. Inoltre coi proventi che io traevo dai miei canti liturgici, facevo vivere due famiglie che mi smerciavano a tutto andare» (G. Cesarini e P. Gargano, Caruso. Vita e arte di un grande cantante, Longanesi 1990).
Dopo il debutto, nel novembre 1894 al Teatro Nuovo di Napoli, inizia a cantare nei teatri vicini di Caserta e Salerno. Dal 1898 canta nei principali teatri d’Italia e del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, dove per diciassette anni è la star del Metropolitan Opera House di New York e si esibisce costantemente in varie città. Il suo repertorio è vasto: Donizetti, Bellini, Verdi, i veristi, Puccini, romanze da camera e canzoni napoletane. Il 30 dicembre 1901 è duramente criticato per la sua interpretazione de L’elisir d’amore al Teatro San Carlo di Napoli: dopo la scottatura giunge alla decisione di non cantare più nella sua città natale. Dopo un’operazione di laringite nodulare, a Milano nell’estate 1909, la sua voce diventa ancora più brunita, con toni quasi da baritono.
Enrico Caruso è il primo divo discografico. Inizia a incidere dischi a Milano nell’aprile e novembre 1902 e continua fino al settembre 1920; nel 1907, con l’aria Vesti la giubba dall’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, raggiunge il milione di copie di dischi venduti. Core ‘ngrato, la canzone ispirata alla sua intensa ma tormentata relazione con il soprano fiorentino Ada Giachetti (1874-1946), fu incisa dal cantante nel novembre 1911 e riscosse immediato e grande successo.
La sua discografia contiene anche sedici composizioni religiose, registrate a New York con l’Orchestra Victor Record tra il 7 gennaio 1912 e il 16 settembre 1920: un patrimonio singolare e poco noto, che sempre affascina ed emoziona all’ascolto. Esse sono: Crucifix di Jean-Baptiste Faure (1830-1914); Hosanna di Jules-Armand Granier (1852-1906); l’Agnus Dei di Georges Bizet (1838-1875); l’Ave Maria di Percy B. Kahn (1880-1966), scritta appositamente per Caruso; Cuius animam dallo Stabat Mater di Gioachino Rossini (1772-1868); Les Rameaux di Jean-Baptiste Faure; Ingemisco dalla Messa di Requiem di Giuseppe Verdi (1813-1901); La Procession di César Franck (1822-1890); O souverain dall’opera Le Cid di Jules Massenet (1842-1912); il Cantique de Noël di Adolphe-Charles Adam (1803-1856); Vois ma misère, hélas! dall’opera Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns (1835-1921); Pietà, Signore attribuito ad Alessandro Stradella (1639-1682) ma più probabilmente di François-Joseph Fétis (1784-1871); Campane a sera di Vincenzo Billi (1869-1938), su testo dello stesso Caruso; Domine Deus e Crucifixus dalla Petite Messe Solennelle di Rossini.
Il 24 dicembre 1920 il tenore deve dare l’addio alle scene e, di lì a poco, al mondo, cantando al Metropolitan La juive (l’Ebrea), opera in cinque atti di Fromental Halévy (1799-1862). Gli viene diagnosticata erroneamente una pleurite purulenta, che degenera dopo alcuni interventi chirurgici a partire da quello al polmone sinistro del 30 dicembre. Il 9 giugno 1921, in seguito a lenti miglioramenti, rientra in Italia e alloggia presso l’Hotel Vittoria di Sorrento, dove il 28 luglio due specialisti gli consigliano di recarsi a Roma per un’immediata operazione. Ma il primo agosto si deve fermare a Napoli, all’Hotel Vesuvio, dove lo raggiunge il professor Giuseppe Moscati, unico, finalmente, a diagnosticare precisamente il male che affliggeva il tenore da qualche tempo: «una non comune forma di ascesso subfrenico di sinistra». Purtroppo, per lo stato settico ormai instauratosi, l’ammalato è spacciato e ormai non gli serve il pur singolare valore scientifico e professionale del dottor Moscati; gli servono però le virtù religiose e morali che "il medico santo" possiede fino ad un livello di eccezione. Dice al riguardo il gesuita Giovanni Aromatisi: «Chiamato al letto del celebre tenore Enrico Caruso, gli ricordò che aveva consultato tutti i medici, ma non aveva consultato Gesù Cristo. Il Caruso rispose: “Professore, fate quello che volete”… Fu chiamato il confessore e gli vennero amministrati i sacramenti» (S. Congregatio pro Causis Sanctorum, Neapolitana beatificationis et canonizations Servi Dei Iosephi Moscati viri laici. Positio super virtutibus, Roma 1972, p. 286).
Assistito fino all’ultimo da Moscati, Enrico Caruso spira il mattino del 2 agosto 1921 confidando in Dio.