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UNO SCRITTO RIVELATORE

Cartabia non vede il totalitarismo che denunciava

Quando l'attuale ministro della Giustizia commentava il Potere dei senza potere di Havel e diceva che «il post-totalitarismo si caratterizza più che per la brutalità del potere, per la sua “ideologia menzognera e ipocrita”, che esercita un’ipnosi sul singolo, inducendolo ad abdicare alla propria ragione, alla propria coscienza e alla propria responsabilità». Ebbene: questo pericolosissimo post-totalitarismo è qui e ora, perché non se ne accorge? 

Editoriali 12_08_2021

Chissà se a sedere sulla poltrona del Ministero della Giustizia sia una sua controfigura oppure se sia proprio lei, Marta Cartabia. Perché a leggere la sua prefazione del 2013, al capolavoro Il potere dei senza potere, scritto nel 1978 da Václav Havel, dissidente di punta dal potere sovietico nell’allora Cecoslovacchia, di cui diverrà in seguito presidente, la domanda si pone.

La Cartabia, quella vera, aveva saputo cogliere il cuore del messaggio di Havel, della sua acuta denuncia delle caratteristiche subdole del post-totalitarismo, come anche dell’unica vera strategia per far inceppare il sistema.

Scriveva la Cartabia, quella vera: «Leggendo la descrizione dell’ambiente sociale di quegli anni [...] si ha l’impressione che in un tale contesto l’ “io” sia condannato all’annientamento e all’irrilevanza, dominato com’è dal pervasivo blocco di potere, che manipola, direttamente o indirettamente, la società in tutti i suoi aspetti. Sorprendentemente, invece, Havel attribuisce all’ “io” una grande importanza, anche sul piano politico. Ne fa il perno e il protagonista della vita pubblica, in un duplice significato: da un lato, sottolinea la corresponsabilità di ciascuno al funzionamento del sistema post-totalitario e, dall’altro, convoca la coscienza individuale come fattore decisivo per il cambiamento».

Già, perché il fulcro dell’azione rivoluzionaria di Havel è proprio quell’io che il sistema tende a massificare attraverso la deresponsabilizzazione, la delega, l’obbediente accomodamento a quel che tutti fanno e pensano, a quel che si deve fare e pensare, come condizione indispensabile di coerenza col mondo attorno a sé. «Per questa modica “dimora” – scriveva Havel - l’uomo in genere paga un alto prezzo: l’abdicazione alla propria ragione, alla coscienza e alla responsabilità; parte integrante dell’ideologia assunta è infatti la delega della ragione e della coscienza nelle mani dei superiori, cioè il principio di identificazione del centro del potere con il centro della verità».

Meditare. Havel avrebbe qualcosa da ridire sulla presente narrazione sanitaria e sull’approvazione del lasciapassare voluto dal quel Consiglio dei Ministri, di cui Marta Cartabia è parte; un lasciapassare figlio appunto di quella abdicazione ormai sistematica alla responsabilità e riflessione personale, delegati a presunti virologi, membri sconosciuti del CTS e pifferai magici di ogni genere e specie. Ed è per questo che il lasciapassare va rifiutato non solo in linea di principio, ma nella pratica; perché la sua accettazione non è altro che, per usare il linguaggio di Havel, il pericolosissimo rafforzamento dell’ideologia come alibi: «E’ l’alibi che va bene per tutti: dall’ortolano, che può nascondere la propria paura di perdere il posto dietro un presunto interesse per l’unione dei proletari di tutto il mondo, fino al più alto funzionario che può ammantare il proprio interesse a conservare la poltrona con le frasi sul servizio alla classe operaia». Potremmo aggiungere: nascondere la propria paura di essere emarginati, di non poter far questo o quello, finanche di lavorare, dietro l’interesse della salute degli altri, della responsabilità collettiva, dell’accettare l’ingiustizia certa di oggi per evitare qualcosa di peggio domani, etc.

Sarebbe interessante capire come mai la Cartabia non si avveda che ci troviamo precisamente all’interno – e stiamo sprofondando sempre più in basso - di quel sistema post-totalitario descritto da Havel, che vive della de-moralizzazione dei suoi membri, che vi si adattano e, adattandosi, contribuiscono a mantenerlo in vita. Ci si domanda come mai l’ex-Presidente della Corte Costituzionale non comprenda che il post-totalitarismo che, secondo le sue stesse parole, «si caratterizza, prima e più che per la brutalità del potere, per la sua “ideologia menzognera e ipocrita”, che esercita un’ipnosi sul singolo, inducendolo ad abdicare alla propria ragione, alla propria coscienza e alla propria responsabilità», questo pericolosissimo post-totalitarismo è qui ed ora.

Mentre attendiamo (e preghiamo per) il risveglio di Marta Cartabia, noi sappiamo bene cosa fare, qualunque sia il prezzo da pagare. Noi vogliamo fare come l’ortolano di Havel, immagine che il Ministro della Giustizia definiva «indimenticabile», perché «decide di rompere il velo di menzogna, con il semplice gesto di rimuovere dalla vetrina del suo negozio lo slogan “proletari di tutto il mondo unitevi!”. Da questo tipo di gesti, alla portata di chiunque, può prendere origine la resistenza al potere e la rinascita morale». Bisogna che continuino ad esistere degli “ortolani”, che non accettano di controllare il green-pass, che non accettano di esibirlo (che siano vaccinati o meno), che non accettano di fare controlli e dare multe. “Ortolani” tra i medici e gli operatori sanitari, che inizino a dire al mondo le oscenità che vedono nei reparti, nelle case di riposo, nei Pronto Soccorso; “ortolani” tra quanti hanno fatto il vaccino e hanno subito gravi reazioni avverse, o tra i familiari dei tanti che sono morti per questa improvvisa ondata di “malori” che sta colpendo innumerevoli persone giovani. Non c’è alternativa: o si è corresponsabili, con la propria obbedienza e silenzio, del sistema post-totalitario oppure si diventa “ortolani”.

Vi diranno che tanto non serve; vi diranno che è meglio tacere e non rischiare il posto di lavoro, l’amicizia, la stima dei colleghi; vi diranno che se non cambiano le cose nei posti che contano, è inutile giocare a fare gli eroi. Non credeteci, sono tutte menzogne di cui il post-totalitarismo ha disperato bisogno per sopravvivere. La verità ce la spiega Havel, in uno dei passi più celebri, che non a caso, la Cartabia non ha potuto non riportare: il gesto dell’ortolano «ha dimostrato che la vita nella menzogna è proprio vita nella menzogna [...], ha detto che il re è nudo. E giacché il re è davvero nudo, è accaduto qualcosa di enormemente pericoloso: con il suo gesto l’ortolano ha interpellato il mondo, ha dato ad ognuno la possibilità di guardare dietro il sipario, ha dimostrato ad ognuno che è possibile vivere nella verità [...] L’ortolano non ha messo in pericolo la struttura del potere oggettivo, ma in quanto il suo gesto ha trasceso la sua persona, ha fatto luce intorno a sé».

Il grande Golia crolla con la pietra scagliata da un ragazzetto, Davide. Un ragazzo, una pietruzza e un ortolano: decisamente a nostra portata di mano. Non è leggenda, è storia e storia sacra: «La vita stessa di Havel mostra che un “io” non de-moralizzato, cioè non rassegnato alla menzogna, può diventare attore della trasformazione della storia di un paese e dell’intera Europa». Non c’è altra strada che la disobbedienza civile dell’ortolano. Parola di Marta Cartabia.