Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Bernadette a cura di Ermes Dovico
IL RITRATTO

Cartabia, luci e ombre di una ratzingeriana al governo

Diverse pubblicazioni e dichiarazioni del passato mostrano come Marta Cartabia possa essere considerata una ratzingeriana pura. Nel mondo cattolico, però, da lei ci si aspettava più coraggio contro la legalizzazione del suicidio assistito e in altre analoghe situazioni. Come si comporterà, dunque, il nuovo Guardasigilli al Governo?

Attualità 15_03_2021

Nel primo mese del nuovo Governo si è scritto molto del ruolo svolto da Mario Draghi nella rilettura della Caritas in veritate poi suggellato anche da un commento pubblicato sul quotidiano della Santa Sede "L'Osservatore Romano". Ma il premier non è l'unico componente dell'attuale esecutivo ad avere avuto a che fare con Benedetto XVI.

Di Marta Cartabia, nuovo Guardasigilli e profilo considerato quirinabile fra un anno, si è detto della vicinanza al movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, mentre è passato sotto traccia il suo interesse per la figura di Joseph Ratzinger. Un interesse che non si è spento con la rinuncia al pontificato, ma - al contrario - sembra essersi acuito come dimostrano una serie di iniziative editoriali intraprese dal 2013 in poi.

Risale al luglio di quell'anno, infatti, l'uscita del volume "La legge di re Salomone. Ragione e diritto nei discorsi di Benedetto XVI” curato dalla ex presidente della Corte costituzionale insieme ad Andrea Simoncini. Il libro risponde all'appello fatto da Ratzinger nel famoso discorso al Bundestag nel 2011 e punta a vivacizzare "la discussione pubblica sui limiti della ragione positivista e sui suoi effetti nel campo del diritto".

Cartabia e Simoncini inseriscono nel loro volume i discorsi di Regensburg, Parigi, Berlino e Londra, quelli che più hanno contraddistinto il pontificato ratzingeriano per l'impegno in difesa del ruolo svolto dal cristianesimo nella costruzione della società occidentale. Questi discorsi, come spiegato nell'introduzione dei due curatori, vengono interpretati tutt'insieme come "una sorta di magistero pubblico sul tema della giustizia e del diritto". Il volume è forse il tentativo più prestigioso fatto in ambito non teologico di rendere giustizia al pensiero di Ratzinger, liberandolo dagli stereotipi in cui lo hanno incastonato i media ed anche tanti presunti intellettuali.

Il pontificato di Benedetto XVI, infatti, non si è semplicemente limitato a ricordare all'Occidente quell'incontro tra Atene (filosofia), Roma (diritto) e Gerusalemme (fede) da cui trae origine la sua cultura, ma ha rivolto lo sguardo alla contemporaneità interculturale per fare appello - come scrivono Cartabia e Simoncini - a quella "chiara consapevolezza della propria identità" senza la quale non ci si può aprire al dialogo con l'altro. L'ex presidente della Corte Costituzionale individua nella via indicata da Ratzinger la soluzione migliore al problema sollevato negli ultimi decenni negli ordinamenti democratici contemporanei sulla necessità di preservare la cosiddetta neutralità dello Stato: "scevro da ogni frattura epistemica (...) tra ragione e fede - scrivono nell'introduzione del volume - il pensiero di Benedetto XVI offre una risposta semplice e davvero convincente".

I curatori condividono la diagnosi ratzingeriana sulle democrazie contemporanee affette da una tendenza al relativismo morale che vorrebbe consentire alla volontà della maggioranza di stravolgere anche i fondamenti etici del diritto ed evidenziano come "Benedetto XVI lascia spazio ad una tensione bipolare che è tipica anche del costituzionalismo contemporaneo, tra la legislazione prodotta con la volontà della maggioranza e del consenso democratico e la salvaguardia di alcuni principi di giustizia, che non possono essere lasciati a disposizione delle imprevedibilità della democrazia".

Per Cartabia (e Simoncini) "la profondità del pensiero di Benedetto XVI" in campo giuridico si comprende quando "afferma la necessità che ogni decisione giuridica e politica sia aperta al linguaggio della verità, e che le deliberazioni pubbliche siano sempre sensibili alla verità". Insomma, la nuova ministra della Giustizia appare sinceramente affascinata dai cavalli di battaglia del pensiero ratzingeriano e non manca occasione per manifestare tutta l'ammirazione coltivata per il grande teologo tedesco.

Tre anni fa, in occasione di un Simposio organizzato dalla Fondazione Benedetto XVI, la ministra ha tenuto una relazione sulla laicità positiva in Ratzinger che vale la pena riprendere soprattutto per la parte relativa ai cosiddetti "nuovi diritti". Quelli che Cartabia, citando Mary Ann Glendon, chiama anche "dialetto liberal della lingua dei diritti individuali" e che "hanno gradualmente smantellato interi settori del legal settlement permeato dai valori cristiani". La relatrice riconosce che "molti dei nuovi diritti sono fattori che hanno prodotto una grande trasformazione nel campo dell'etica pubblica: quelli che riguardano ambiti come la famiglia, la morale sessuale (...) esprimono una cultura liberal permissiva, tesa a rimuovere limiti e ostacoli alla libera espressione delle scelte individuali".

La costituzionalista constata che "le leggi che fino a un'epoca recente in molti Paesi occidentali incarnavano la morale cristiana o almeno erano basate su di essa si stanno ora allontanando da quella morale in nome dei diritti di autodeterminazione individuale e di non discriminazione". Leggendo l'intervento nel Simposio si capisce come Cartabia non sia soltanto una profonda conoscitrice dei discorsi più emblematici del pontificato di Benedetto XVI, ma si interessi anche alla sua produzione precedente all'elezione e successiva alla rinuncia.

Insomma, Marta Cartabia può essere considerata una ratzingeriana, nell'accezione più pura della definizione e scevra dalle antipatiche connotazioni provocate dalla tendenza mediatica a banalizzare realtà così complesse. Nel mondo cattolico, però, da lei ci si aspettava più coraggio contro la legalizzazione del suicidio assistito. Sia l’ordinanza n. 207 del 2018 che la sentenza n.242  sono arrivate mentre la giurista ricopriva il ruolo di vicepresidente della Corte Costituzionale. C'è anche chi pensa che nel 2018 il suo approdo alla presidenza della Consulta sia stato rimandato proprio per evitare che fosse lei, di formazione cattolica, a guidare la Corte nella decisione sul caso Cappato. Da presidente, però, è tornata sulla vicenda per difendere quell'inedita via processuale della Corte criticata anche da Papa Francesco col suo j'accuse alla "giurisprudenza che si autodefinisce 'creativa'" che inventa "un 'diritto di morire' privo di qualsiasi fondamento giuridico".

Adesso che la nomina a ministro la getta nell'agone della politica potrà essergli utile un doppio insegnamento di Ratzinger: se è vero, infatti, che "non l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica" (Bonne,1981) è anche vero che "noi cristiani di questo nostro tempo" dobbiamo ricordare "che non si può scendere a compromessi con l'amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità" perché "la Verità è Verità, non ci sono compromessi" (Roma, 2012).