Caro Renzi ti scrivo. L’Europa chiede riforme subito
Sorveglianza rafforzata. É la nuova condizione dell’Italia rispetto all’Ue. La Commissione europea ha inviato una lettera a Palazzo Chigi per lanciare l'allarme sul rischio di scostamento dagli obiettivi di medio termine. I tecnici di Bruxelles, quindi, invitano il nostro Paese a fare nuove riforme strutturali.
Sorveglianza rafforzata. É la nuova condizione dell’Italia rispetto all’Unione europea. Nelle ultime ore la Commissione europea ha inviato una lettera a Palazzo Chigi per lanciare l'allarme sull'Italia perché c'è un rischio di significativo scostamento dagli obiettivi di medio termine. I tecnici di Bruxelles, quindi, invitano il nostro Paese a fare nuove riforme strutturali. Si tratta di una tegola per Renzi, considerato che, nella lettera inviata al governo italiano, c’è una scadenza, aprile-maggio, termine entro cui varare un nuovo pacchetto di riforme in grado di irrobustire il processo di crescita.
Ma il premier entro giugno, data delle elezioni amministrative, vorrebbe non dover fare interventi massicci (e impopolari) sulla spesa pubblica, anzi intenderebbe usare la flessibilità per allargare almeno in parte i cordoni della borsa. E invece la Commissione Ue, pur senza giudicarlo, lo esorta a fare altre riforme strutturali e a utilizzare la flessibilità per accrescere gli investimenti. A maggio, però, verranno pubblicate le raccomandazioni dell’Ue Paese per Paese e li’ si capirà l’entità delle riserve europee rispetto all’Italia. I conti pubblici italiani hanno obiettivi di medio termine (qualche anno) per quanto riguarda il rientro dal deficit strutturale, che è stato pari all'1% nel 2015, e che è previsto all'1,7% del pil nel 2016. Se nell’anno in corso si realizzasse tale funesta profezia, la prospettiva del pareggio strutturale si allontanerebbe. Sul fronte della disoccupazione, il jobs act e gli altri interventi fatti da questo governo non hanno convinto fino in fondo i vertici Ue, che sottolineano la gravità della situazione italiana in termini di ritardo nella crescita.
Infine, la lettera della Commissione Ue al governo italiano, che il ministro Padoan reputa «normale e ampiamente prevista» e che non porterà, almeno per ora, all’apertura di una procedura di infrazione nei nostri riguardi, contiene alcuni richiami rilevanti. L’Italia, pur avendo realizzato riforme nei settori del mercato del lavoro, dei crediti inesigibili delle banche, della pubblica amministrazione, della giustizia e dell'educazione, non è ancora intervenuta sui settori delle privatizzazioni, della spending review, del sistema di contrattazione collettiva, delle liberalizzazioni, del Fisco e della lotta alla corruzione. In particolare il nodo insoluto è quello delle privatizzazioni. Da una parte ci sono i poteri finanziari europei e internazionali, che non vedono l’ora di mettere le mani sul patrimonio industriale e finanziario italiano; dall’altra c’è l’obiettiva esigenza del nostro Stato di fare cassa smobilizzando patrimonio pubblico.
Ma per rilanciare l’economia italiana e darle un po’ di respiro, liberandola dalla pesante zavorra della burocrazia che le tarpa le ali, ci vorrebbe anche una legislazione illuminata sul versante delle liberalizzazioni. La competitività tra le imprese va stimolata, nell’interesse dei consumatori e degli investitori. Tutto questo presuppone scelte dolorose e a volte impopolari che vadano a intaccare corporativismi, privilegi e sacche di inaccettabile conservazione. Questo governo, così attaccato ai sondaggi e al consenso a tutti i costi, si rivelerà in grado di intervenire efficacemente in tal senso?
Gli squilibri macroeconomici italiani rimangono eccessivi, come evidenzia l’Ue nella lettera spedita a Roma. Noi siamo sotto osservazione, così come Bulgaria, Francia, Portogallo, Croazia. Bassa competitività, debito elevato in rapporto al Pil, sofferenze bancarie e disoccupazione sono i nostri punti deboli. È evidente che per ora essi sono sotto controllo, ma che in caso di aumento dell’instabilità sui mercati finanziari potrebbero esplodere. Con conseguenze inevitabili in termini di instabilità economica e anche politica. Esattamente come nel 2011.