Caro carburanti, il salasso è fiscale. Ma il governo pensa a un bonus
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Il rientro è costato carissimo agli italiani, alla fine di questa estate. Chiunque abbia fatto almeno un pieno, ha speso più di quanto si aspettasse. Il governo vuole correre ai ripari. Ma come? Questo è il problema, perché le contromisure e le proposte rivelano scarsa lungimiranza, a dir poco.
Il rientro è costato carissimo agli italiani, alla fine di questa estate. Chiunque abbia fatto almeno un pieno, ha speso più di quanto si aspettasse. Il governo vuole correre ai ripari. Ma come? Questo è il problema, perché le contromisure e le proposte rivelano scarsa lungimiranza, a dir poco.
Il prezzo della benzina si aggira stabilmente sui due euro al litro, ieri era 2,021 per la benzina e 1,934 per il gasolio (autostradale). La regione più economica: Marche (1,927 la benzina, 1,827 il gasolio). La più cara: Alto Adige (1,989 la benzina, 1,895 il gasolio). Cifre da capogiro, praticamente senza precedenti. Se questi sono i prezzi medi, vuol dire che la benzina (o il gasolio) possono essere anche più cari, a seconda della compagnia e della pompa di benzina, che hanno comunque diritto al loro guadagno. In alcuni casi, si arriva a pagare anche 2,7 euro al litro (self service) e quasi 3 euro (servito).
Il governo si è sensibilizzato alla sofferenza degli italiani? Secondo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, “Il prezzo industriale della benzina, depurato dalle accise, è inferiore rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Spagna e Germania”. Dunque sarebbe “falso quanto affermano alcuni esponenti politici che il prezzo di benzina e gasolio sia fuori controllo, anzi è vero il contrario: l’Italia ha fatto meglio di altri Paesi europei”. Lo ha dichiarato il 16 agosto e ci si sarebbe attesi che questa sua affermazione fosse la premessa per il taglio delle accise o una riduzione dell’Iva. Soprattutto considerando che, almeno il taglio delle accise, era nel programma elettorale dell’attuale maggioranza del governo. Era anche nel programma di Fratelli d’Italia, che esprime sia Adolfo Urso che Giorgia Meloni. Invece, al di là della pausa estiva, non ci sono segni che le tasse sulla benzina possano essere ridotte.
L’unico provvedimento fin qui preso dal governo è stato quello di obbligare i benzinai ad esporre il prezzo medio. “Stranamente” non ha prodotto alcun effetto concreto. Si è trattato di un gesto controproducente, perché ha creato confusione in tutti quegli automobilisti che hanno scambiato il prezzo medio per quello alla pompa. Ed è indice di scarsa comprensione del problema (o comoda ricerca di un capro espiatorio): si scarica la colpa interamente sui benzinai, accusati di “speculazione”, quando invece il prezzo alla pompa è determinato solo in minima parte da chi la vende.
Le nostre auto, per circa la metà del prezzo del carburante, vanno a tasse. Le accise e l’Iva incidono infatti per il 58% del prezzo della benzina e il 45% di quello del gasolio. Il costo “industriale” è il restante 42% del prezzo della benzina e il 55% di quello del gasolio. Da cosa è determinato il costo industriale? Nel caso della benzina il 30% dipende dalla materia prima (petrolio) e il 12% dal venditore, dunque la compagnia e il benzinaio. Nel caso del gasolio, il 45% dipende dalla materia prima e il 10% dal venditore. Non è il venditore, dunque, che può fare realmente la differenza sul prezzo del carburante. E sicuramente non è obbligandolo ad esporre il prezzo medio che lo si induce a cambiare politica.
Il costo fiscale, che dunque costituisce più della metà (nel caso della benzina) o poco meno della metà (nel caso del gasolio) del prezzo alla pompa, è costituito da accise e dall’Iva. Le accise sono quote fisse che si devono pagare per uno scopo preciso. Nessuna è stata abrogata, dunque stiamo pagando ancora adesso un’accisa per la guerra in Abissinia (1935), una per la crisi di Suez (1956), una per il disastro del Vajont (1963) ed una per l’alluvione di Firenze (1966). Le accise sono in tutto 16 e cumulativamente costano 0,58 euro al litro per la benzina e 0,47 al litro per il gasolio. L’Iva sulla benzina è invece il 22% del prezzo, accise incluse. Quindi si pagano tasse sulle tasse, di fatto. L’aumento del carburante, questa estate, ha fruttato al governo un “tesoretto” di oltre 2 miliardi di euro. Il calcolo è di Assoutenti: “Ipotizzando 15 milioni di autovetture benzina-gasolio in circolazione sulle autostrade e una media di tre pieni solo per gli spostamenti e successivo ritorno, si stima che lo Stato incassi 2.275.875.000 euro grazie alla tassazione sui carburanti”.
Il governo può fare poco per modificare il costo industriale, ma molto per ridurre quello fiscale. Eppure la misura che sarebbe allo studio, anticipata sempre dal ministro Urso, è quella di introdurre un bonus carburante, una misura una tantum sul modello della Social card, destinato solo ai redditi bassi (meno di 20mila euro dichiarati). Costo stimato dell’operazione: circa 2 miliardi di euro, pari all’extra-gettito fiscale causato dall’aumento del carburante. Questa misura parte sempre dal presupposto che il problema sia dato dal costo industriale del carburante. Ma in pratica, il governo restituisce le tasse prelevate, da tutti, a una parte di cittadini, solo quelli più bisognosi.
È una tipica politica da esecutivo di sinistra, salassare tutti con le tasse per restituirne una parte ai poveri (o coloro che si dichiarano tali, per lo meno). In questo modo lo Stato, paternalista, continua a decidere a chi togliere e a chi dare. Secondo un vecchio adagio, la sinistra dona il pesce al povero, la destra gli insegna a pescare. Per insegnargli a pescare, gli devi lasciare la canna. Nel nostro caso, lasciargli un po’ di soldi in tasca, invece di prelevarli ad ogni pieno di benzina. Che senso ha che anche la destra, in Italia, si comporta come la sinistra?