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IL LIBRO

Carmignac, il Pater e i Vangeli da retrodatare

L’esperienza dell’abbé Jean Carmignac con il Padre Nostro. E la sua tesi che l’insegnamento di Gesù fosse stato messo per iscritto quando ancora era in terra o poco dopo l'Ascensione. Ma trovò gli ostacoli dei modernisti. Un libro ne racconta la storia.

Cultura 14_04_2022

Nel 1966 la chiesa post-conciliare francese adotta una nuova formula del Paternoster col versetto «ne nous soumets pas à la tentation» al posto del tridentino «ne nous laisse pas succomber à la tentation». Il non ancora famoso abbé Jean Carmignac riconosce la provenienza protestante della novità e chiede al suo vescovo il permesso di poter recitare, durante la Messa, il Paternoster in latino. Risultato: gli viene tolta la parrocchia, con proibizione di insegnare il catechismo, predicare e celebrare la funzione domenicale. E lui dedica proprio al Paternoster la sua tesi di dottorato all’Institut Catholique di Parigi, tesi che discute nel 1969 davanti a una commissione presieduta da Jean Daniélou, poi cardinale. Ottiene il massimo dei voti cum laude (anzi, Singulari prorsum cum laude, elogio del tutto eccezionale) e pubblicazione.

Da qui l’importante volume scritto dalla specialista Roberta Collu, Il Padre Nostro e i Rotoli di Qumran nel lavoro scientifico di Jean Carmignac (LEF, pp. 330). Com’è noto, Carmignac «riteneva che l’insegnamento del Rabbi Yeshūa fosse stato consegnato alla scrittura, in ebraico o aramaico, quando egli era ancora in vita o poco dopo la sua morte e, soltanto in seguito, tradotto nel greco popolare dell’epoca». Ora, poiché ciò avrebbe comportato la retrodatazione dei Vangeli, contrariamente a quel che tutti i biblisti ritenevano da un secolo sulla scia delle geschichte liberal-protestanti, Carmignac venne subissato e si aprì il vaso di pandora. La Collu racconta tutte le vicissitudini personali e i “misteri” della vicenda. Cominciando dalla sua, che dovette fare i salti mortali per accedere a un Fondo Carmignac che nessuno voleva consentirle di esaminare. Alla fine, dopo anni, finalmente poté rovistare nella trentina di scatoloni contenenti tutte le carte del grande esegeta. Conoscendone la fitta corrispondenza, cercava in particolare una cosa. «Egli parla, infatti, di un manoscritto di più di 400 pagine, che non abbiamo ritrovato, la cui sparizione lascia supporre che sia stato sottratto dagli archivi dell’Istituto cattolico, per ragioni che restano inspiegabili».

Carmignac morì nel 1986 ma solo nel 2016 fu reso consultabile il suo archivio. A chiedere perché, ci si sentiva rispondere con arrampicate sugli specchi o, addirittura, in modo sgarbato. Carmignac era il massimo specialista dei Manoscritti del Mar Morto, fondatore della rivista «Revue de Qumran» in sei lingue, dottore honoris causa nell’università di Bonn, ma anche un parroco, cosa che mai smise di fare: «Un sacerdote diventa arido - disse - se si dedica esclusivamente ai suoi studi». Ma aveva contro l’establishment modernista, che ormai occupava tutto l’occupabile. Per tale establishment ai tempi di Gesù non c’era il registratore. Perciò, i Vangeli erano stati costruiti molto dopo la sua dipartita, abbelliti con mitologie, quisquilie&pinzillacchere.

Ma lui partiva da una semplice constatazione: la distruzione del Tempio era del 70 d.C. Come mai i Vangeli non ne parlano? Infatti, non è un evento da niente, e poi avrebbe portato acqua alla narrazione “mitica”. Allora, sono stati scritti prima. Non solo. Padrone totale di greco, ebraico e aramaico, Carmignac si mise a retrotradurre i testi sacri. E scoprì che erano stati scritti in aramaico e solo dopo tradotti nel greco allora corrente. Il famoso frammento Q7 confermò la retrodatazione, ma lui dovette combattere per tutta la vita. E anche dopo. I suoi archivi furono, stranamente, portati all’Institut Catholique e non alla Bibliothèque Nationale, dove sarebbero stati subito messi a disposizione degli studiosi, «secondo le ultime volontà dell’esegeta».

Ed ecco la testimonianza personale della Collu: «Documenti spariti, autorizzazioni concesse e subito ritirate, un’ispezione interrotta d’autorità…». Cose da preti, insomma. Leggiamo dunque questo interessante libro sul Paternoster, «un poema, una poesia ritmicamente costruita che segue le regole di versificazione già in uso ai tempi di Gesù». Con le prime tre domande l’uomo pensa a Dio, con le altre quattro Gli chiede di pensare a lui. Si notino i numeri.