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I GRANDI MAESTRI

Carlo Borromeo, il santo che mostra la potenza dell'umiltà

La sua storia, fatta di riforme impopolari e di pericoli per la sua vita, dimostra che per essere forti è necessario riconoscersi miseri ma potenti in Dio, mentre chi conta sulle proprie forze finisce per essere un debole costretto ad usare la violenza. San Carlo è un esempio attualissimo di sacerdote che indica agli uomini di ogni tempo gli strumenti per essere santi e virili. 

Ecclesia 04_11_2018

Pensavo a San Carlo Borromeo e al suo motto, “Humilitas”. Questo grande santo, partecipante anche al Concilio tridentino, aveva tutti i motivi per non essere umile, proveniendo da un famiglia ricca e potente. Eppure scelse questo motto per se, “Humilitas”. Ma questa umiltà non lo allontanava dal difendere i diritti della sua dignità episcopale e della Chiesa stessa.

In un testo del salesiano Mario Scudu leggiamo: «La sua visita in una parrocchia era preparata spiritualmente con la preghiera e con la predicazione che doveva portare ai sacramenti. Il vescovo all’inizio faceva una riunione con i notabili del paese ai quali chiedeva tra l’altro: “Come si comportano in chiesa i parrocchiani? Ci sono eretici, usurai, concubini, banditi o criminali? Ci sono seminatori di discordia, parrocchiani che non osservano la Quaresima?... I padri di famiglia educano bene i propri figli? Non c’è lusso esagerato nel vestire da parte degli uomini e delle donne? Se ci sono delle istituzioni di beneficenza e di aiuto sociale, sono ben amministrate?”. E altre domande simili. Come si vede concrete. Tutto bene quindi nella sua opera di riforma? Non proprio. Incontrò difficoltà e talvolta anche ostilità. Come nel caso dell’attentato che subì il 26 ottobre 1569 ad opera di quattro frati dell’Ordine degli Umiliati. Uno di questi gli sparò mentre era in preghiera nella sua cappella privata. Motivo? Il Borromeo voleva riformare quell’ordine religioso ormai decaduto. Ma le riforme proposte furono viste dagli Umiliati come umiliazioni. La pallottola gli forò il rocchetto, ma lui rimase illeso miracolosamente ed il popolo lo interpretò come un segno dall’alto della bontà delle sue riforme. E gli Umiliati, di nome, furono umiliati anche di fatto e per sempre con la loro cancellazione definitiva».

Insomma, il testo del padre Scudu ci dice qualcosa di molto importante: umiltà non significa arrendersi, ma capire che si è personalmente solo degli indegni peccatori. Solo questa consapevolezza può dare una forza ancora più grande rispetto a coloro che pensano di essere già forti. Nella seconda lettera ai Corinzi (12, 7-10) lo dice benissimo San Paolo: «Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte».

L’umiltà di san Carlo Borromeo era la vera umiltà, non quella dei cosiddetti forti (gli Umiliati, ad esempio) che possono solo ricorrere alla violenza quando capiscono la propria inadeguatezza. Umiltà, lo dice la parola, è essere vicini alla terra, come del resto è nella parola “uomo”. Quindi essere uomo significa essere umile, stare in basso, ma non essere piegato. Significa essere consapevoli della propria debolezza, della propria inadeguatezza e proprio per questo trovare la forza nella grazia per poter difendere i diritti calpestati ed affrontare le proprie responsabilità. Forse le esperienze dure della vita, come le malattie, ci richiamano proprio a questo rimanere ancorati alla terra, alla umiltà primigenia della nostra condizione mortale. San Carlo Borromeo questo lo sapeva bene, come leggiamo nei suoi scritti: “Tutti siamo certamente deboli, lo ammetto, ma il Signore Dio mette a nostra disposizione mezzi tali che, se lo vogliamo, possiamo far molto. Senza di essi però non sarà possibile tener fede all'impegno della propria vocazione. Facciamo il caso di un sacerdote che riconosca bensì di dover essere temperante, di dover dar esempio di costumi severi e santi, ma che poi rifiuti ogni mortificazione, non digiuni, non preghi, ami conversazioni e familiarità poco edificanti; come potrà costui essere all'altezza del suo ufficio? Ci sarà magari chi si lamenta che, quando entra in coro per salmodiare, o quando va a celebrare la Messa, la sua mente si popoli di mille distrazioni. Ma prima di accedere al coro o di iniziare la Messa, come si é comportato in sacrestia, come si é preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il raccoglimento?”. Insomma, non cediamo alle lusinghe di un pensiero debole in senso cristiano: armiamoci con umile coraggio per la buona battaglia.