Caritas, la pedagogia prima dell’aiuto materiale
Fondamentale richiamo del pontefice alla vera natura della carità, che è una vocazione e un invito alla conversione continua. Di tutti.
Il 24 novembre Benedetto XVI ha ricevuto i partecipanti all’incontro celebrativo del 40° anniversario dell’istituzione della Caritas Italiana. In un momento di controversie sul ruolo degli enti caritativi cattolici, in tutto il mondo, il Papa ha ribadito alla Caritas quanto aveva affermato incontrando l’11 novembre i volontari cattolici: il servizio cattolico alla carità non può ridursi a semplice umanitarismo. Il servizio ai poveri dev’essere sempre anche educazione e annuncio.
Benedetto XVI ha voluto citare le parole del «Servo di Dio Paolo VI [1897-1978, il quale], nel primo incontro nazionale con la Caritas, nel 1972, così affermava: “Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica” (Insegnamenti X [1972], 989)». La funzione pedagogica dovrebbe dunque essere «prevalente» rispetto a quella della carità materiale, perché a istituzioni come la Caritas «è affidato un’importante compito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, della società civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce (cfr Fil 2,15). Si tratta di assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo», che a sua volta «è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità».
Il Papa ha proseguito citando le parole della Lettera ai Galati: «Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,5-6). Il Pontefice ha commentato questo brano affermando che si tratta dello stesso «distintivo cristiano: la fede che si rende operosa nella carità. Ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità. “L’amore del Cristo infatti ci possiede” (2 Cor 5,14), scrive san Paolo».
Ma altro è la carità che deriva dalla fede, altro è la semplice benevolenza umanitaria. E il distintivo della prima è proprio l’attenzione allo sforzo educativo. «Cari amici – ha raccomandato il Papa –, non desistete mai da questo compito educativo, anche quando la strada si fa dura e lo sforzo sembra non dare risultati». Occorre, soprattutto, educare «nella fedeltà alla Chiesa e nel rispetto dell’identità delle vostre Istituzioni», che è un’identità specificamente cattolica. Quando tante urgenze materiali premono, considerare preminente l’educazione può sembrare difficile. Ma non è impossibile, ha detto Benedetto XVI, «utilizzando gli strumenti che la storia vi ha consegnato e quelli che la “fantasia della carità” - come diceva il beato Giovanni Paolo II [1920-2005] - vi suggerirà per l’avvenire».
La Caritas si riprometteva al suo sorgere quarant’anni fa in Italia di partire da «tre attenzioni tra loro correlate e sinergiche: ascoltare, osservare, discernere». Occorre che ciascuna di queste attenzioni sia bene intesa. «Ascoltare per conoscere, certo, ma insieme per farsi prossimo, per sostenere le comunità cristiane nel prendersi cura di chi necessita di sentire il calore di Dio attraverso le mani aperte e disponibili dei discepoli di Gesù. Questo è importante: che le persone sofferenti possano sentire il calore di Dio e lo possono sentire tramite le nostre mani e i nostri cuori aperti. In questo modo le Caritas devono essere come “sentinelle” (cfr Is 21,11-12), capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione nel solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa». Diversamente, si rischia di venire sommersi dal relativismo dominante. «L’individualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, il relativismo che influenza tutti, chiedono di provocare persone e comunità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dello sguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comunitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi».
Certo, la carità è fatta di gesti, come risulta dagli stessi «gesti di Gesù: gesti che trasmettono la Grazia, educativi alla fede e alla sequela; gesti di guarigione e di accoglienza, di misericordia e di speranza, di futuro e di compassione; gesti che iniziano o perfezionano una chiamata a seguirlo e che sfociano nel riconoscimento del Signore come unica ragione del presente e del futuro». E «quella dei gesti, dei segni è una modalità connaturata alla funzione pedagogica della Caritas. Attraverso i segni concreti, infatti, voi parlate, evangelizzate, educate. Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande». La «qualità delle opere» della carità cristiana dipende ultimamente dal fatto che siano, ha detto il Papa «parlanti», cioè capaci di rendere evidente «che nascono dalla fede. Sono opere di Chiesa, espressione dell’attenzione verso chi fa più fatica. Sono azioni pedagogiche, perché aiutano i più poveri a crescere nella loro dignità, le comunità cristiane a camminare nella sequela di Cristo, la società civile ad assumersi coscientemente i propri obblighi».
In questo senso, la carità è anche un gesto politico, secondo l’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II richiamato dal Papa: «Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam actuositatem, 8). Allo Stato il Pontefice ricorda che «l’umile e concreto servizio che la Chiesa offre non vuole sostituire né, tantomeno, assopire la coscienza collettiva e civile. Le si affianca con spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà».
Dopo il richiamo, non superfluo alla luce di vicende recenti in vari Paesi, alla fedeltà ai vescovi – «sono certo che voi ascolterete i vostri Pastori e ne seguirete le indicazioni», ha detto il Papa – alla Caritas è stato raccomandato che coltivi «la capacità di leggere l’evolversi della vita delle persone che lo abitano, le difficoltà e le preoccupazioni, ma anche le opportunità e le prospettive. La carità richiede apertura della mente, sguardo ampio, intuizione e previsione, un “cuore che vede” (cfr Enc. Deus caritas est, 25)». Anche qui, il richiamo al cuore non esclude uno sguardo in senso lato politico. «Rispondere ai bisogni significa non solo dare il pane all’affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si accostavano».
Un pensiero il Papa ha infine rivolto alla crisi economica, che crea nuove povertà e coinvolge il «vasto mondo della migrazione. Spesso calamità naturali e guerre creano situazioni di emergenza. La crisi economica globale è un ulteriore segno dei tempi che chiede il coraggio della fraternità. Il divario tra nord e sud del mondo e la lesione della dignità umana di tante persone, richiamano ad una carità che sappia allargarsi a cerchi concentrici dai piccoli ai grandi sistemi economici. Il crescente disagio, l’indebolimento delle famiglie, l’incertezza della condizione giovanile indicano il rischio di un calo di speranza. L’umanità non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza». Non, però, una speranza puramente umana: «la nostra fonte di speranza è nel Signore. Ed è per questo motivo che c’è bisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma perché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza. Cari amici, aiutate la Chiesa tutta a rendere visibile l’amore di Dio». E anche l’amore della Beata Vergine Maria «che, nella visita ad Elisabetta, portò il dono sublime di Gesù nell’umiltà del servizio (cfr Lc 1,39-43)».