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IL DOCUMENTO

Capire la Sindone dagli usi funerari giudaici

Il lenzuolo di lino, il corpo unto di olii e profumi, la descrizione fatta nei Vangeli, la posizione delle braccia. Così gli usi funerari giudaici ci aiutano a comprendere meglio la Sacra Sindone conservata a Torino.

Ecclesia 26_03_2016
Il volto della Sacra Sindone

La Sindone di Torino è una sindone funeraria ebraica di particolare pregio. Per comprendere meglio questo straordinario reperto essa deve dunque essere analizzata in relazione agli usi funerari giudaici, che qui ripercorriamo brevemente.

La prima operazione da compiere era chiudere occhi e mascella del defunto (quella dell'Uomo della Sindone era probabilmente già serrata, avendo il rigor mortis fissato il capo in posizione reclinata sul petto); a meno che il defunto non fosse morto di morte violenta (come l'Uomo della Sindone), nel qual caso il sangue non veniva rimosso ma anzi conservato e sepolto con il corpo (infatti la Sindone ne è intrisa), il corpo veniva di norma lavato con acqua; successivamente esso veniva unto con olii e profumi (sulla Sindone sono presenti tracce di aloe e mirra: Nicodemo portò alla tomba una grande quantità di una simile mistura, cfr. Gv 19,39, presumibilmente destinata in parte all'unzione della pietra ove fu composto Gesù, in parte all'unzione di corpo e Sindone e in parte infine a purificare l'aria); seguiva la deposizione nella tomba.

Le antiche tombe ebraiche, nella variante delle classi sociali più elevate, erano ambienti a più vani scavati nella roccia e chiusi all'esterno da un grosso masso fatto rotolare davanti all'entrata: al centro si trovava la pietra per la preparazione del cadavere, che veniva poi collocato in uno dei loculi ricavati nelle pareti e destinati ai diversi membri della famiglia (dopo un anno i resti venivano trasferiti in appositi ossari presso la medesima tomba).

Funerale e sepoltura avvenivano lo stesso giorno del decesso, prima del tramonto, perché non è mai lecito che un corpo trascorra una notte insepolto. Il terzo giorno, i congiunti tornavano a controllare il cadavere, per scongiurare rischi di morte apparente e completare la sepoltura (così intendevano fare le pie donne, le cosiddette mirofore, che trovarono invece il sepolcro vuoto).

La sindone funeraria avvolgeva il corpo senza legature, nodi o cuciture (a simboleggiare la caducità): al di sotto di essa, invece, potevano essere utilizzate corde o strisce di tessuto per tenere fermi gli arti durante il trasporto alla tomba (come le keriai di cui si liberò Lazzaro, il quale, sotto la sindone che certamente lo avvolgeva, aveva «i piedi e le mani legati con bende», cfr. Gv 11,44); non sappiamo se ne furono usate per Gesù: probabilmente no, dato il rapido e intenso rigor mortis seguìto alla morte violenta (né sulla Sindone di Torino ci sono segni di alcunché interposto tra corpo e tessuto).

Le sindoni potevano essere di vario tipo (pure o impure, di una o più pezze di tessuto, di materiali diversi, anche di risulta), ma quella più tipica era proprio un ampio telo di lino bianco.

La Sindone di Torino fu ricavata da un rotolo di lino dalla trama ricercata (a spina di pesce: rara ma bene attestata in Medioriente nell'antichità) e fu quasi certamente tessuta in ambiente giudaico, poiché rispetta la proibizione biblica della commistione di lino e lana (sha'anetz, cfr. Dt 22,11): la tessitura avvenne cioè con un telaio ritualmente puro, mai entrato in contatto con fibre di lana (il che rende più chiara la definizione di «sindone pura o monda» di Mt 27,59). Poiché la purità rituale era richiesta per le vesti dei vivi ma non per una sindone funeraria, l'utilizzo di una sindone pura, oltre che nuova e pregiata (come quella acquistata da Giuseppe d'Arimatea, cfr. Mc 15,46), rivela la volontà di riservare al defunto un onore straordinario.

Quanto al filato di lino della Sindone, esso è a un capo solo con torcitura a Z, mentre in Palestina era comune quello con torcitura a S. È verosimile che tale filato fosse d'importazione e corrisponda a quello che le fonti rabbiniche chiamano hinduyin, di provenienza indiana; l'ipotesi pare rafforzata dai risultati di recenti analisi condotte da genetisti dell'Università di Padova su alcuni campioni sindonici: oltre a DNA di individui mediorientali ed europei (riconducibile all'Uomo della Sindone e a chi ebbe stretti contatti con il Lino), ne è stato individuato anche di appartenente a soggetti indiani (i filatori?).

Nei Vangeli la sindone di Gesù è descritta con due diverse parole greche di significato assai generico: il singolare sindòn nei Sinottici (Mt 26,59, Mc 15,46 e Lc 23,53) e il plurale othònia in Giovanni (Gv 19,40); va però ricordato che il greco non era la lingua madre di alcuno degli evangelisti e molti studi dimostrano che i Vangeli non furono originariamente scritti in greco (in particolare Matteo), bensì in aramaico o in ebraico.

Sindòn è un calco linguistico dall'ebraico sadin, ma è improbabile che il termine dell'originale semitico fosse proprio quello: è più probabile che sindòn traduca in modo generico, per i non ebrei, un termine semitico più specifico adatto a una sindone funeraria (nel Talmud, per es., si usa takrik / takrikim).

Parimenti generico è il giovanneo othònia, al plurale: alcuni studiosi sostengono che sia una figura retorica (plurale enfatico), altri lo considerano un artificio linguistico per descrivere un lungo lenzuolo piegato in due, sotto e sopra il cadavere (proprio come la Sindone di Torino); mi pare del resto significativo che anche nelle fonti rabbiniche la sindone funeraria venga indicata spesso con un plurale, takrikim.

Un ultimo appunto. Le braccia dell'Uomo della Sindone furono composte sul pube con la mano sinistra sopra la destra. Alcune tradizioni rabbiniche, anche se molto più tarde, prescrivevano il contrario: la mano destra era simbolicamente posta sopra la sinistra, per chiedere a Dio di usare sul defunto prima la Misericordia, rappresentata nella tradizione giudaica dalla destra, e poi la Giustizia, rappresentata dalla sinistra. Disporre le mani dell'Uomo della Sindone nell'ordine inverso potrebbe forse derivare dalla convinzione di chi lo seppellì che quel particolare defunto, perfetto giusto, non avesse bisogno di misericordia: Gesù è e sarà sempre la misericordia stessa.