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DECRETO ASSET

Caos taxi, un sintomo del grande problema delle lobby in Italia

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Rivolta dei tassisti contro il decreto asset che dà libertà alle amministrazioni locali di aumentare il numero delle licenze. Si attendono scioperi e scontri fra governo e sindaci. Ma questo è solo un sintomo di un problema più grande.

Politica 06_10_2023
Taxi a Roma

Il caos taxi che si è creato nelle metropoli e nelle città più importanti è emblematico della preoccupante alterazione nei rapporti tra decisori istituzionali e categorie. La situazione è ben nota. A Milano, a Roma, a Torino, a Bologna, a Firenze e in tante altre importanti città italiane, caratterizzate da un intenso pendolarismo, trovare un taxi è davvero un’impresa, in qualsiasi momento della giornata. Ieri la Camera ha approvato, nella stessa identica versione del Senato, il decreto Asset, che interviene anche sulle licenze per i taxi, affidando alle amministrazioni locali la decisione sul possibile aumento delle licenze. I comuni capoluogo di regione o quelli sede di città metropolitana o aeroporto possono ora aumentare il numero di licenze fino al 20% di quelle già rilasciate, attraverso procedure snelle e concorsi straordinari. Inoltre il decreto prevede la possibilità di dare licenze temporanee o stagionali a chi è già titolare di una normale licenza.

Ma è scontro tra governo e sindaci. Questi ultimi criticano il testo del decreto giudicandolo “inapplicabile”. C’è dunque un braccio di ferro tra esecutivo nazionale e amministratori locali, che temono di non riuscire a gestire le proteste dei tassisti, che a loro volta rifiutano ogni ipotesi di allargamento del loro mercato.

Il botta e risposta di ieri tra il primo cittadino di Roma, Roberto Gualtieri e i ministri Matteo Salvini (Trasporti e infrastrutture) e Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy) è indicativo del livello di tensione. Nel frattempo la categoria è in subbuglio, ha annunciato uno sciopero nazionale di 24 ore per martedì 10 ottobre e quindi quel giorno sarà quasi sicuramente impossibile prendere un taxi.

Non che la situazione - come detto - sia molto diversa in altri giorni. Code chilometriche soprattutto nelle stazioni, fuori dagli ospedali e dai luoghi di cura, negli aeroporti e in prossimità di luoghi affollati sono scene di routine ormai. La gente appare rassegnata, anche se molti sono inferociti perché ritengono che il blocco delle licenze sia penalizzante non solo per i cittadini che sono costretti ad usare i taxi per spostarsi, ma anche per le attività produttive in senso lato.

In un Paese dove manca un servizio così importante anche per il commercio, è ben difficile che gli investitori e gli imprenditori stranieri possano essere davvero interessati a destinare proprie risorse per impiantare attività. Chi investe in un altro Stato lo fa se le lungaggini burocratiche e i disservizi sono gestibili. In Italia né le prime né i secondi lo sono. La questione taxi è solo la punta dell’iceberg di un deterioramento progressivo del livello di efficienza dei servizi, anche nelle città come Milano che erano il fiore all’occhiello da questo punto di vista.

Che fare? Si spera che le amministrazioni locali possano farsi valere e resistere alle pressioni dei tassisti, fermi ad una visione anacronistica del mercato, chiusi ad ogni logica di concorrenza e pronti a difendere a oltranza e in modo corporativo le loro posizioni di vantaggio acquisite negli anni.

Mai come ora ritorna d’attualità la questione della regolamentazione delle lobby, che in Italia rimane una chimera. A differenza che in altre nazioni europee ed extraeuropee, nel nostro Paese manca una legge sulla rappresentanza degli interessi e dunque prevalgono sempre i soliti gruppi di pressione. Categorie come i tassisti sono in grado di mettere in ginocchio il Paese e lo stanno facendo con grande ostinazione, senza temere lo scontro sociale.

L’assenza di una legge sul lobbying incide pesantemente sulla crescita economica del nostro Paese, come ha più volte evidenziato l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Anche se in Italia se ne parla ciclicamente da quasi mezzo secolo, non esiste ancora una legge in materia di lobbying. L’Italia è il primo Paese al mondo per numero di disegni di legge presentati per regolamentare il lobbying e mai approvati: dal 1976 ad oggi se ne contano 108.

Il futuro della regolamentazione delle lobby in Italia dipenderà dalla volontà politica e dall'impegno delle istituzioni pubbliche e della società civile. Una legge sul lobbying potrebbe contribuire a garantire che le politiche pubbliche siano formulate in modo trasparente e che gli interessi dei cittadini vengano adeguatamente rappresentati. È una sfida culturale, prima ancora che politica, alla quale tutti i partiti dovrebbero aderire con convinzione: ascoltare tutte le parti in causa prima di assumere decisioni e prima di scrivere normative che riguardano tutti gli appartenenti a una categoria (e non solo) significa avere a cuore il bene comune. Solo costringendo per legge i decisori istituzionali ad ascoltare tutti prima di decidere si potrà raggiungere un traguardo simile. E il benessere degli italiani ne trarrebbe innegabilmente giovamento.