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EDITORIALE

Caos immigrati, ci si mette anche la Turchia

Sulle isole greche più sbarchi che in Italia, con gravi problemi di ordine pubblico. Ma le coste da cui partono i barconi sono quelle turche, con il benestare del governo di Ankara che si disfa così dei profughi accampati nei suoi confini. Ma UE e Nato chiudono un occhio.

Editoriali 16_08_2015
Scontri a Kos

L’emergenza immigrazione dilaga in tutto il Mediterraneo e tra i Paesi europei solo la Spagna sembra non soffrire troppo delle vicinanza con le coste africane. I possedimenti di Madrid sulle coste marocchine di Ceuta e Melilla continuano a essere sotto pressione ma quest’anno gli irregolari entrati in Spagna sono stati solo 3.500 grazie anche alla politica di respingimenti attuata dalle autorità spagnole.

In Italia invece dall’inizio dell’anno al 14 agosto sono sbarcati 103 mila clandestini, un numero che il ministro degli Interni Angelino Alfano sembra considerare quasi positivo perché inferiore di mille unità a coloro che arrivarono nello stesso periodo del 2014. Questione di sfumature poiché i dati al 12 agosto riferivano di 102 mila arrivi contro i 98.400 dello stesso periodo dall’anno scorso. L’aspetto interessante è che tra i clandestini solo 5.688 sono arrivati dalla Siria e potrebbero essere considerati profughi di guerra. Gli altri sono soprattutto eritrei (27.245), nigeriani (12.451), somali (7.883), sudanesi (5.870) o comunque migranti economici africani.

In Grecia la situazione è ancora più grave con circa 150 mila arrivi da quest’anno in rapido aumento a causa delle vicinanze di molte isole elleniche con le coste turche. E quelli sbarcati a Kos, Lesbo e altre isole greche non hanno meno pretese di quelli giunti dalla Libia in Italia. Vogliono lasciare subito le isole per raggiungere il continente e da lì assaltare treni e ogni mezzo di trasporto che attraversi i Balcani puntando a nord. Le mete sono le stesse degli sbarcati in Italia: Germania, Gran Bretagna, Svezia e in genere i Paesi del Nord Europa che offrono un welfare più generoso. I numeri degli sbarcati nelle isole greche, dove alla grave crisi economica si uniscono i danni all’industria turistica determinati dai flussi di clandestini, sono impressionanti.

Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sono circa 34.500 le persone sbarcate a Ios, Samos, Leros tra gennaio e luglio, mentre oltre 61.600 hanno toccato terra a Lesbo, nell'Egeo del nord. In tutta la Grecia i clandestini arrivati nei primi sette mesi dell’anno sono 124.000, dei quali 50.000 solo in luglio e 30 mila in giugno. Si tratta per lo più di siriani, afghani, eritrei, pakistani, iracheni e nelle ultime settimane gli sbarchi si sono moltiplicati. L’assalto alle isole si è ingigantito quest’anno dopo che il governo greco ha completato la costruzione del muro che sigilla il confine terrestre con la Turchia.

Dopo i violenti scontri con la polizia greca, a Kos è stata inviata una nave da crociera da 2.500 passeggeri, la Eleftherios Venizelos, che ospiterà molti clandestini in attesa di registrazione. Il governo di Atene ha più volte lamentato di essere stato lasciato solo dalla Ue e, pur tenuto conto che la decisione di accogliere o meno i clandestini dipende dai singoli governi e non dall’Unione Europea, non ha tutti i torti.

Frontex, l’agenzia delle frontiere Ue, non ha mezzi navali per garantire la missione di pattugliamento Poseidon, sorella dell’operazione Triton attiva nel Canale di Sicilia. Per questo il commissario Ue, il greco Dimitris Avramopoulos, ha ribadito con forza l'appello agli Stati membri perché «offrano navi, aerei, personale tecnico così come si erano impegnati a fare all'ultimo vertice».

Il problema vero, in Grecia come in Italia, non è però disporre di navi o fondi per l’accoglienza e la gestione dell’emergenza perché questa non avrà mai fine senza bloccare le partenze sulle coste di provenienza. Se per l’Italia non sarebbe difficile (se a Roma qualcuno avesse a cuore gli interessi nazionali e fosse dotato di un po’ di attributi) attuare respingimenti su una Libia priva di un reale governo e in balìa di se stessa, i greci devono fare i conti con una Turchia che si atteggia a potenza regionale ma ha perso il controllo delle sue frontiere meridionali ed è impegnata in una guerra contro l’ISIS e soprattutto contro i curdi.

Il governo islamista di Recep Tayyp Erdogan ha varato un ampio programma di potenziamento militare che in campo navale ha portato la flotta militare turca a superare per tonnellaggio quella italiana e solcare regolarmente gli oceani Atlantico e Indiano. Ciò nonostante Ankara pare non riesca (o non voglia) a controllare le sue coste e fermare i barconi diretti nelle isole greche con a bordo siriani, afghani, pakistani e immigrati clandestini di altre nazionalità asiatiche.

Avramopoulos sarà presto in Turchia per «raddoppiare gli sforzi di collaborazione» col governo di Ankara tesi a fermare i flussi ma è meglio non farsi illusioni. I turchi hanno tutto l’interesse a sbarazzarsi dei profughi siriani affluiti in questi anni di guerra civile aizzata dallo stesso Erdogan contro l’ex “amico” Bashar Assad. I barconi gestiti dalla mafia turca e i trasferimenti forzati di profughi nella “zona cuscinetto” che Ankara si appresta a istituire nel nord della Siria con l’appoggio di Washington, consentiranno ad Ankara di ridurre sensibilmente il numero di profughi siriani la cui presenza crea tensioni nella popolazione turca (che non è araba come i siriani) e ha influito non poco nel crollo dei voti registrato nelle elezioni di giugno dal partito di Erdogan, l’AKP.

Non si può del resto escludere che “l’invasione” delle isole greche e dell’Europa rientri in progetto politico che vede protagonista la Turchia. Le acque costiere a ridosso delle isole elleniche non sono di certo poco presidiate poiché le tensioni tra Atene ed Ankara e le dispute su Cipro e i confini marittimi nell’Egeo hanno visto i due Paesi schierare consistenti forze navali proprio dove le rispettive coste sono a breve distanza. Quindi se i turchi volessero fermare i barconi lo potrebbero fare agevolmente ma è possibile che abbiano interesse a favorire l’impatto dei clandestini fatti filtrare verso i Balcani che sta avendo effetti devastanti sull’Europa Orientale.

In Macedonia si registrano scontri e violenze ogni giorno nelle stazioni ferroviarie dove i clandestini arrivati dalla Grecia e diretti in Serbia assaltano i treni per tentare di lasciare il Paese dopo che il governo di Skopje ha ordinato l’arresto degli illegali presenti nel Paese da più di tre giorni. L’arrivo di migliaia di disperati pronti a tutto genera forti reazioni in Serbia specie dopo che l’Ungheria ha completato il muro lungo il confine che potrebbe dirottare su Croazia e Slovenia i flussi di clandestini.

La Bulgaria ha chiuso le frontiere già l’anno scorso e l'esercito della Repubblica Ceca ha predisposto un programma di rafforzamento del contingente di sorveglianza ai confini (che salirà da 1.500 a 2.600 uomini) affiancando le guardie di frontiera per impedire l’accesso ad altri clandestini.

Il presidente Recep Tayyp Erdogan ha incassato l’appoggio della Nato per fare la guerra all’ISIS (in realtà ai curdi) ma pare che nessuno in Europa abbia preteso che almeno fermi i traffici di esseri umani. A tal proposito vale la pena evidenziare che se Ankara sembra chiudere un occhio di fronte ai flussi di clandestini dalle sue coste, i barconi diretti in Italia salpano da un tratto di costa libica controllata dal governo islamista di Tripoli legato ai Fratelli Musulmani e sostenuto da Qatar e Turchia. Solo una coincidenza?

Può darsi ma intanto in Europa qualcuno comincia a svegliarsi. Il 10 agosto il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond ha detto alla BBC che i migranti in arrivo dall'Africa minacciano lo stile di vita e le infrastrutture sociali dell'Europa aggiungendo che la Ue non può proteggere sé stessa se deve ''accogliere milioni di migranti dall'Africa'' che si muovono per una ''motivazione economica''.