Cantiere del centrodestra: una torre di Babele
Non convince il "cantiere" aperto nel centrodestra per resettare il passato e ricostruire un futuro. Partiti così diversi potrebbero mai costruire qualcosa di duraturo? Solo se trovano un minimo comun denominatore. Che non c'è.
Il "cantiere" che il centrodestra dichiara di voler aprire per ricostruirsi e resettare la sua proposta politica non convince e ricorda le titubanze e gli ostinati tentativi dell'allora premier, Romano Prodi, di tenere in vita una maggioranza raccogliticcia senza un collante culturale e politico. Romano Prodi, sia dopo le elezioni del 1996 che dopo quelle del 2006, avendo vinto nelle urne con maggioranze risicate e assai eterogenee, tenute in piedi solo dalla smania di potere, fu costretto a compromessi svilenti su temi cruciali per l'azione di governo. I suoi esecutivi si contraddistinsero per inerzie e disarmanti contraddizioni e assunsero decisioni figlie di mediazioni estenuanti tra le anime moderate e le frange più estreme della sinistra. Si ricordano le manifestazioni antigovernative sui temi sociali alle quali partecipavano senza pudore alcuni ministri, lacerati tra la fedeltà all'esecutivo e l'esigenza di assecondare il proprio elettorato. Si sa come sono andati a finire quei governi, quanto sono durati e quali e quanti danni hanno arrecato al Paese in termini di perdita di competitività e di credibilità internazionale.
Lì il male fu proprio quello di non aver operato una sintesi matura e costruttiva tra le diverse anime culturali del centrosinistra e l'errore fu la pretesa di amalgamare e far governare insieme rappresentanti di tradizioni e portatori di visioni per tanti versi incompatibili tra loro. Osservando in queste ore la discussione interna al centrodestra sembra di rivivere quelle stagioni prodiane di indeterminatezza e di evanescenza. Berlusconi è tornato a escludere nuovamente la discesa in campo dei suoi figli, ha ribadito di sentirsi l'unico leader in campo in quell'area politica, ha affidato al suo delfino, Toti e al sindaco di Pavia, Cattaneo, il compito di selezionare la nuova classe dirigente di Forza Italia e ha escluso al momento un riavvicinamento con Alfano. Nel frattempo, però, dopo aver chiesto agli elettori un voto in difesa della stabilità incarnata dal Partito Popolare Europeo, si accinge a firmare i referendum della Lega, che a Bruxelles si è schierata con Le Pen e con gli antieuropeisti che da tempo lavorano per il superamento dell'euro. L'ex Cavaliere si prefigge di federare i moderati o cosiddetti tali per ridare smalto a una coalizione inesistente che possa contrastare alle prossime politiche l'avanzata delle truppe renziane.
Ma in nome di cosa? Esiste un denominatore comune tra Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia e Nuovo centrodestra? Pare proprio di no. Esprimono visioni profondamente diverse su tanti temi, dalle questioni fiscali al lavoro, dai valori etici all'idea d'Europa. E allora che differenza c'è tra il cartello che Berlusconi vorrebbe ricostituire in vista delle prossime elezioni politiche (nel 2018 o prima di quella data) e i cartelli che Prodi mise in piedi per governare venti o dieci anni fa? Nessuna. Si tratta, in entrambi i casi, di operazioni puramente algebriche sganciate da una definizione di programmi realmente alternativi a quelli dell'avversario. Non esistono posizioni fortemente identificative del centrodestra sulle scelte strategiche che il Paese dovrà compiere nei prossimi anni. L'elettore fa fatica a percepire, al di là dei personalismi, una differenza chiara tra il centrodestra e il centrosinistra. Invece il centrodestra può rilanciarsi se trova un nuovo leader (scelto in modo democratico e non attraverso un'investitura dall'alto) in grado di fare sintesi attorno ad alcuni punti fermi imprescindibili e che costituiscono l'essenza del moderatismo liberaldemocratico: la tutela della persona e della famiglia, la valorizzazione delle libertà individuali in ogni ambito, anche in economia, la sussidiarietà, il personalismo sociale, tanto per identificarne alcuni.
Attorno a questo nucleo fondante è possibile unire i partiti del centrodestra che alle ultime elezioni europee si sono presentati in ordine sparso raccogliendo percentuali deludenti? Non pare. E comunque occorre uno sforzo di sintesi e rielaborazione culturale che al momento il centrodestra non sembra in grado di compiere, imprigionato nella logica di gelosie personali e di sterili rivendicazioni correntizie. E gli stessi alfaniani, vale a dire la componente che più di frequente si è richiamata, almeno a parole, ai valori del cattolicesimo, cosa intende fare su temi caldi e di futura imminente definizione come il divorzio breve o le coppie omosessuali? Sarà accondiscendente rispetto alle scelte che l'esecutivo guidato da Matteo Renzi ai accinge a prendere? E l'opposizione di centrodestra saprà e vorrà distinguersi anche su questi fronti o si appiattirà in nome di un pluralismo e di una libertà di coscienza che somiglia sempre più a un atteggiamento di tipo pilatesco? C'è anche chi ritiene che Renzi possa presto giocare d'anticipo e scaricare del tutto il Nuovo Centrodestra, surrogando il suo appoggio in Senato con quello di una costituenda pattuglia di transfughi grillini e vendoliani in grado di garantire al governo di proseguire la sua azione. Tale operazione restituirebbe forse trasparenza e omogeneità al quadro politico, con una maggioranza di governo più polarizzata sulla sinistra e un'opposizione di centrodestra realmente alternativa a Renzi. Ma gli alfaniani sceglieranno le poltrone o la coerenza sui valori?