Cannabis, la festa di Sinistra che tira in ballo la Madonna
Il festival milanese della cannabis, vietato ai minori non accompagnati e appena concluso, aveva un nome che non era tutto un programma, anzi, diciamo proprio che non c’entrava nulla: AveMarija. Slogan da centro sociale e già immaginiamo le teste gloriose che l’hanno escogitato circondati dagli applausi ballettanti e festanti degli improvvisati uditori.
Il festival milanese della cannabis, vietato ai minori non accompagnati e appena concluso, aveva un nome che non era tutto un programma, anzi, diciamo proprio che non c’entrava nulla: AveMarija. Slogan da centro sociale e già immaginiamo le teste gloriose che l’hanno escogitato circondati dagli applausi ballettanti e festanti degli improvvisati uditori. E’ dal 1968 che lo slogan titola ogni espressione, ogni manifestazione, ogni graffito, prescindendo dal contenuto e pur presumendo di riassumerlo. Sui muri, negli anni «formidabili» che poi divennero «di piombo», l’informazione popolare era fornita, appunto, da slogan.
Al tempo in cui si blaterava di «servizi deviati» campeggiava la scritta a spray «Mi celi qualcosa? Sid». Miceli era un agente dei servizi implicato in non ricordo più cosa e Sid era appunto la sigla dei servizi. Quando la società telefonica era unica e si chiamava Sip, ecco la scritta: «Non Sip aga». E poi Cossiga scritto con le rune al posto delle due esse, o Craxi con la svastica al posto della x. Infantile, se non fosse stato tragico. Ma la mania prese piede e ormai dobbiamo conviverci. Non c’è incontro pubblico o kermesse che non abbia come titolo uno slogan costituito da un gioco di parole.
E, più lo slogan è (o crede di essere) spiritoso, più possiamo star sicuri che lo spirito che lo anima è di sinistra. Infatti, gli inventori degli slogan sessantottardi erano tutti estremisti di sinistra, e i loro nipoti nuotano ancora nelle stesse acque. Solo che ormai le ideologie sono andate (tranne quella politicamente corretta) e la politica non accende più le fantasie. Rimane, ostinato, il substrato cattolico del nostro Paese, che gli sforzi congiunti dei laicisti e di certo clero non riescono a eclissare. Così, ai creativi del festival al cannabinolo è venuto del tutto naturalmente in testa di tirare in ballo la Madonna. La più amata dagli italiani.
AveMarija, dove il riferimento alla marijuana è plateale. Ma che c’entra la Madonna? Niente, ma uno slogan non deve evocare nulla, solo risuonare di qualcosa di già sentito, di familiare. Ecchissenefrega se i credenti si risentono. Anzi, si spera proprio in una levata di scudi, così che se parli il più possibile e, perciò, si allarghi il giro dei curiosi. I quali, prima distratti, magari si avvicinano ai banchi e ai banchetti e comprano. O si iscrivono a un corso per imparare a coltivare cannabis in casa (c’era anche questo). Per la prossima edizione, comunque, lo suggerisco io il titolo: «Fàmose ‘na canna bis». Che è come dire: due sono meglio di una. Tanto, ormai la vendono pure dal tabaccaio. Il tutto, però, mentre infuria l’odio furibondo verso il fumo di tabacco. Odio di stato e, dunque, di popolo.
Eh, sì, il fumo fa male, e il fumo passivo pure. Ma se uno si fuma uno spinello? Il fumo non va anche questo nei polmoni? E quello espirato non diventa fumo passivo per coloro che stanno intorno? Donde, dunque, la festa e l’entusiasmo? Perché inalare tabacco fa male a sé e agli altri mentre inalare spinelli no? Anzi, stando all’entusiasmo che trapela dai festival e dagli slogan, sembra che la cannabis faccia bene, faccia benissimo alla salute propria e altrui. Boh. Quand’ero studente universitario mi invitarono in una festa dove tutti si facevano di spinelli e canne. Offrirono anche a me e mi parve maleducato rifiutare. Fumai, perciò, ma non ne trassi alcun beneficio. Anzi, non ne trassi proprio niente, nemmeno il piacere della fumata. Così, uscito, mi accesi una Marlboro. Forse non allargava la mente né la percezione, ma quello sì che era fumare.