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PRINCÌPI NON NEGOZIABILI

«Cancellare l'aborto». La Polonia ci prova

Alla "Camera bassa" di Varsavia una proposta di legge accompagnata da 600mila firme. Il cardinale Stanlisaw Dziwisz: «Basta compromessi».

Attualità 30_06_2011
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La Polonia sta vivendo la vigilia di una decisione storica. La "Camera bassa" del suo parlamento prende visione oggi di una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede a gran voce l’abolizione totale di ogni e qualsiasi possibilità di praticare l’aborto. La Polonia porta insomma in giudizio l’élite che la rappresenta al parlamento nazionale e che ne guida i destini politici.
Secondo quanto richiesto dalla legge polacca, per portare sul desco dei parlamentari una proposta così serve l’appoggio di 100mila firme popolari. Ne sono state raccolte sei volte tanto.

Si è trattato di una mobilitazione popolare gigantesca, una grandiosa azione civica nazionale coordinata dalla Fundacji Pro - Fondazione PRO -, diretta da Jacek Sapa. Per settimane ha raccolto firme e sostegni in gran segreto. Nessuno fuori dai confini polacchi doveva infatti sapere, soprattutto - dice Sapa al portale antiabortista statunitense LifeSiteNews, che di questa colossale iniziativa ha dato notizia in esclusiva mondiale - quel mondo anglofono dove agiscono media, fondazioni, lobby, personale politico e organismi internazionali potentissimi e ricchissimi, in grado di intervenire in ogni angolo della Terra per bloccare "il nemico". E questa è una notizia dentro la notizia: perché tutti una cosa così la pensano (puntando il dito contro una pletora di sigle che inizia con la Planned Parenthood e che finisce con un nutrito elenco di agenzie dell’Onu) ma avvicinandosi alle porte di un parlamento nessuno ha il coraggio di dirla; perché organizzare un piano segreto di tal fatta e farlo riuscire è da veri "berretti verdi" del Bene; e perché il fatto mette il dito diritto nella piaga senza chiedere permesso né scusa.

Che infatti esista una strategia internazionale mirante ad anestetizzare la reazione dei popoli e a paralizzare la sovranità politica dei loro Paesi quando sfuggono ai dettami della cultura di morte è palese; ma, ponendo per tutti un precedente culturalmente vincolante, oggi la Polonia dimostra che il suo fuoco di sbarramento non è affatto impenetrabile.

L’attacco alla morale è del resto la zampata post mortem con cui le ideologie cercano ancora di annientare la Polonia. L’aborto vi fu introdotto per la prima volta dall’occupazione nazista di 70 anni fa e quando i comunisti si avvicendarono al potere cambiarono tutto per non cambiare nulla. La petizione popolare di oggi è quindi, dice Sapa, «la possibilità di ricusare completamente l’eredità del nazismo e del comunismo». Anche in Polonia, come altrove nel mondo, l’aborto viene dunque percepito dai "veri patrioti" come un corpo estraneo, un elemento straniero, una scheggia impazzita venuta da fuori. Per questo ne fanno una battaglia anche politica di civiltà. Non è forse la Polonia la terra del beato Giovanni Paolo II, che bene intendeva questo giro mentale e che ottimamente ne ha dispiegato i significati più puri?

Lo sforzo profuso dalla Fondazione PRO sarebbe stato del resto vano - e magari pure a rischio d’ideologizzazione - se non fosse stato sorretto dal robusto braccio della Chiesa polacca, che dell’odierna mobilitazione politica è stata sponsor senza tentennamenti né tatticismi. Come ha detto l’arcivescovo di Cracovia, cardinal Stanlisaw Dziwisz, già segretario particolare di Papa Wojtyla, al settimanale cattolico Gosc Niedzielny - il maggiore di tutto il Paese e altro sostenitore eccellente dell’iniziativa - «la Chiesa insegna chiaramente che i cattolici sono obbligati a non coprire il "compromesso" attuale, ma a puntare alla protezione totale della vita», motivo per cui la petizione all’esame del parlamento è «una soluzione, una di quelle che la Chiesa invoca. Io appoggio ogni sforzo mirante a incrementare la protezione della vita umana».

Il "compromesso" additato dal card. Dziwisz mantiene intanto a mezz’asta l’aborto polacco, introdotto nel 1993 come esito del confronto altalenante mantenuto con i "princìpi non negoziabili" dai governi democratici seguiti al crollo del regime comunista nel 1989.

In Polonia l’interruzione volontaria della gravidanza è infatti permessa solo se al feto sono diagnosticati mali o "difetti" gravi, oppure quando è in serio pericolo di vita la madre, o ancora quando la gravidanza è l’esito - così dice il codice - di «attività illegale». Chiaro è, sottolineano i pro-lifer, che, nonostante le clausole, ma spesso proprio a causa della vaghezza della loro formulazione, gli abusi sono all’ordine del giorno, sia per quanto riguarda le motivazioni sia per quel che concerne il termine massimo di intervento fissato alla 24a settimana. L’«attività illegale», per esempio, contempla certamente lo stupro o l’incesto, ma pure le gravidanze adolescenziali, giacché nel Paese sono vietati i rapporti sessuali con e fra minori di 15 anni.

Resta comunque, fortunatamente, la legge più restrittiva tra quelle vigenti in Occidente e così i circa 82mila aborti del 1989 comunista (il regime imponeva con forza attiva la cultura abortista) sono scesi ai circa 500 del 2008 democratico (dati del Ministero polacco della Salute).

La proposta di oggi azzererebbe invece persino le eccezioni, ai dottori implicati comminerebbe fino a 3 anni di carcere estensibili sino a otto qualora il feto in quel caso abortito avesse pouto nascere e vivere, e applicherebbe le medesime sanzioni anche a chi istigasse o contribuisse a un aborto. Per le madri coinvolte però giustamente niente, nessuna pena, nessuna sanzione.

I 600mila firmatari della proposta rappresentano peraltro perfettamente l’orientamento dei polacchi. Un sondaggio del 3 giugno ha contato il 65% di favorevoli alla protezione senza "se" e senza "ma" della vita umana sin dal concepimento, e fra questi il 76% sono giovani tra i 15 e i 24 anni (i più favorevoli all’aborto hanno tra i 55 e i 70 anni, ma sono comunque minoranza, visto che il 57% di loro si schiera come i più giovani per il bando totale). E il 23% della popolazione risulta favorevole solo all’aborto attuale, cioè limitato dalle tre suddette clausole.

Risultati clamorosi. Solo nel 2005 il 57% dei polacchi si dichiarava infatti a favore dell’aborto entro la 24a settimana e il 36% si diceva contrario. Nel 2009 i favorevoli all’aborto erano però già scesi al 31% mentre i contrari erano saliti al 64% e queste cifre si sono divaricate ancora di più all’inizio del 2011 quando un sondaggio diverso da quello sopra citato del 3 giugno ha registrato un 85% di polacchi che si definiscono pro-life e un 9% di cittadini dichiaratamente auspicanti il libero accesso all’aborto. Già nel 2007, peraltro, fu avanzata la proposta di inserire nella Costituzione del Paese una provvisione a difesa del diritto alla vita umana dal concepimento alla morte naturale (che comunque, un po’ come accade ora con la nuova Costituzione ungherese, non avrebbe automaticamente eliminato l’aborto): il 60% dei parlamentari l’appoggiò, ma mancò la maggioranza qualificata dei due terzi necessaria a tale modifica.

La proposta che i parlamentari polacchi stanno esaminando in queste ore andrà prestissimo al voto, oggi stesso o al più tardi domani. Se otterrà il 50% più uno dei voti della “Camera bassa”, passerà a una Commissione ad hoc per poi tornare in aula e sottoporsi a un secondo, dunque a un terzo voto. Quindi spetterebbe al Senato votarla e poi al presidente della repubblica decidere se mutarla in legge. Se questi non lo facesse, il parlamento avrebbe ancora un voto d’appello in grado di ribaltare il veto presidenziale, ma stavolta necessiterebbe della maggioranza dei due terzi.

Sapa ricorda che il 90% dei parlamentari polacchi attualmente in carica si professa cattolico. È cominciata una nuova, corale "insurrezione di Varsavia"?