Cammilleri-Cyrano tocca il buonismo pauperista
Lo scrittore “kattolico” replica alle critiche dopo il suo ultimo articolo sulle premiaizoni di Matterella. «La bontà e l’accoglienza sono obbligatori per il cristiano. Ma vederseli ammannire tuti i giorni, anche fuori dai pasti, per anni e anni, e sentirsi ossessivamente accusare di esserne privi o di non averne abbastanza induce il rigetto»
Il mio articolo sulle recenti premiazioni assegnate dal presidente Mattarella ha diviso Facebook. Niente di grave, né di strano. Chi mi segue da tempo sa che non è mio compito cercare quel che unisce (non sono io il papa, per fortuna vostra), ma giusto quel che divide. L’apologeta, qual io sono e fui (copyright Cecco Angiolieri), scruta col lanternino e lavora di bisturi, non di spugna. Certo, a volte pecco di ottimismo e attribuisco al mio prossimo un comprendonio almeno uguale al mio.
Perciò, sono contento quando una secchiata di umiltà mi costringe a chiarire anche per i non udenti. Il mio pezzullo criticava non Mattarella in quanto tale, per questo l’articolo non aveva «contenuti» (rispondo alla stroncatura 1). No, mi riferivo solo alla sua assoluta mancanza di presenza scenica. Il che non è un difetto, s’intende, ma lo spettatore del tiggì o l’ascoltatore della radio talvolta (è il mio caso) vorrebbero poter bypassare l’aria fritta, quella stessa riscontrabile in tante omelie parrocchiali. Esistono anche le omelie laico-istituzionali. Tutto qui.
Il personaggio è sobrio, e meno male che non indossa il loden. Ma sappiamo che cosa succede quando i media si mettono a esaltare la sobrietà (il riferimento a Monti è puramente voluto) di per sé stessa. La stroncatura 2 suona pressappoco così: ma il direttore Cascioli legge quello che pubblica? La risposta è sì. E c’è di più: io mi facevo i fatti miei, ma è stato proprio il direttore a chiedermi un pezzo su quella premiazione politicamente corretta. Io, che, come ho detto, ho in uggia l’aria fritta, ci ho messo un po’ di tempo per escogitare il modo di accontentarlo.
Sì, perché trasformare la noia in qualcosa di brioso è arte sopraffina di cui meno vanto, giacché non alla portata di tutti (per questo mi pagano). Confesso che sto cercando un confessore a cui confessare che sto diventando cattivo. Infatti, buona cosa è l’acqua quando si ha sete, ma brutta cosa diventa se cadi nel lago e non sai nuotare. Mi spiego, fuor di metafora. La bontà e l’accoglienza, la carità verso i poveri e l’amore del prossimo sono obbligatori per il cristiano. Ma vederseli ammannire tuti i giorni, anche fuori dai pasti, di notte e di giorno, per anni e anni, e sentirsi continuamente, ossessivamente, estenuantemente accusare di esserne privi o di non averne abbastanza induce, come ogni psicologo sa, il rigetto.
E basta, per favore! I poveri, i poveri, i poveri! L’accoglienza, l’accoglienza, l’accoglienza! I barconi, i disperati, i centri al collasso, non se ne può più! O volete che dia di fuori come Fantozzi con la corazzata Potemkin? Confesso, ripeto, che la tentazione del kattivismo mi assedia. Cerco, tuttavia, ancora un confessore che mi assolva senza risbattermi in faccia la melassa. L’altro giorno ricorreva la festa di san Martino. Vi lascio immaginare l’omelia. E che cosa, quel mezzo mantello, è diventato in bocca al prete. Il quale si è guardato bene dal dire che Martino fu chiamato da Cristo in persona la stessa notte. Ma forse il prete neanche lo sapeva. Lasciatevelo dire da uno agiografo con esperienza ultratrentennale: santi non ci si improvvisa, occorre una chiamata superna. Il buonista plagiato non è un santo, anche se, certo lodevolmente, ci prova. Come si fa a saperlo? Semplice: azzardatevi a contraddirlo e vedrete la sua «bontà» svanire in un lampo. Lui ama i «poveri», mica voi.