Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Bruno a cura di Ermes Dovico
NUCLEARE

Cambiamenti climatici, Tokyo svela la farsa

Il Giappone rinuncia al suo impegno di riduzione delle emissioni di gas serra, perché deve far fronte a ben altri problemi. L'emergenza energetica, causata da Fukushima lo impone. Della lotta al Global Warming si può fare a meno.

Editoriali 16_11_2013
gas serra

Il Giappone non ci sta più: non può ridurre l’emissione dei suoi gas serra secondo i parametri del Protocollo di Kyoto. Lo ha annunciato ieri il governo nipponico in occasione della Conferenza per il Cambiamento Climatico di Varsavia.

Dall’11 novembre, infatti, è in corso a Varsavia la nuova Conferenza annuale per rinnovare, ribadire o rimodulare gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto del 1997. L’accordo di 16 anni fa fissò i parametri per la riduzione dei gas serra nei Paesi industrializzati firmatari, dando per scontato che è l’emissione di Co2 e altri prodotti umani la principale causa del riscaldamento globale.

La Conferenza di Varsavia durerà fino al 22. Ma al quinto giorno di lavoro è arrivata già la prima doccia fredda: con il cambio degli impegni nipponici, il Protocollo di Kyoto perde il Paese che ne ospitò la ratifica. E parlare di “ridimensionamento”, non è corretto. Sarebbe più giusto dire “abbandono”: secondo i parametri concordati alla conferenza di Copenhagen (2009), dall’allora premier democratico Hatoyama, il Giappone avrebbe dovuto ridurre i suoi gas serra del 25% entro il 2020, rispetto al livello di emissioni del 1990. Il nuovo obiettivo nipponico fissato a Varsavia, invece, è una riduzione del 3,8% entro il 2020, non rispetto alle emissioni del 1990, ma rispetto a quelle del 2005. Senza farci confondere troppo dalle cifre, il trucco è evidente: nel 2005, le emissioni di gas serra, in Giappone, erano superiori rispetto a quelle del 1990; il nuovo obiettivo fissato da Tokyo è una riduzione del 3,8% rispetto al 2005. Dunque nel 2020, secondo il nuovo target consiste nell’aumentare le emissioni del 3% rispetto al 1990. È un inversione a 180° dell’impegno preso a Copenhagen.

Come si spiega? Il portavoce del governo Abe, Yoshihide Suga, ha spiegato in tutta franchezza che «L’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra del 25% dal 1990 al 2020 era infondato e non è raggiungibile». Non si tratta solo di una ripicca politica dei conservatori, attualmente al governo, contro i democratici, che avevano sottoscritto l’impegno del 25% ma ora sono all’opposizione. La causa fisica fondamentale di questo cambiamento è l’incidente di Fukushima e la sospensione di tutti gli impianti nucleari giapponesi. Siccome non è possibile rimanere senza elettricità e le fonti energetiche rinnovabili non sono un’alternativa alle centrali, in Giappone hanno ripreso a bruciare combustibili fossili (fra cui carbone e gas liquido, importati in sempre maggiori quantità) per la produzione di energia termoelettrica.

Il governo Abe sembra quasi suggerire agli ecologisti: “scegliete fra il timore del nucleare e quello del riscaldamento globale. Non potete avere il terrore di entrambe le cose”. Aver paura del nucleare vuol dire ricorrere a energie che emettono una maggior quantità di gas serra, con buona pace di chi teme il riscaldamento globale. Aver paura del riscaldamento globale più di ogni altra cosa, invece, implica necessariamente una maggior tolleranza delle centrali nucleari. Solo queste ultime, infatti, riescono a produrre l’energia sufficiente ad alimentare un Paese industrializzato senza aumentare la quota di emissioni di Co2. Non ci sono altre alternative: idroelettrico, eolico, fotovoltaico sono metodi di produzione insufficienti (come nel caso dell’eolico), ingombranti e potenzialmente rischiosi (idroelettrico: abbiamo appena celebrato i 50 anni dal disastro del Vajont) o inconsistenti (fotovoltaico). Se fino al 2011 la paura dominante era quella per il riscaldamento globale e i progetti per nuove centrali iniziavano a circolare persino in Italia, uno dei Paesi più refrattari, il terremoto e lo tsunami in Giappone del marzo 2011 hanno cambiato tutto. L’incidente ai reattori di Fukushima ha provocato direttamente solo 3 vittime, contro le circa 16mila causate dal terremoto, dallo tsunami, dal crollo di dighe idroelettriche e dall’esplosione di altri impianti chimici e industriali. Ma l’unica cosa che ha realmente impressionato il mondo è: Fukushima. E non si è parlato d’altro. Il referendum per il nucleare in Italia è stato così vinto dagli ecologisti e anche nei Paesi più “nuclearisti”, come la Germania, l’opinione pubblica è tornata a provare le stesse paranoie del 1986, dei tempi dell’incidente di Chernobyl. Quindi, ad essere archiviata, almeno per ora, è la paura per il Global Warming.

Ma il Giappone può permettersi di rinunciare, con così tanta leggerezza, agli impegni presi nella lotta al riscaldamento globale? Evidentemente sì. Ve lo immaginate un governo che annuncia tagli alle spese sulla costruzione di edifici anti-sismici? Non lo vedremo mai, soprattutto dopo il grande terremoto del 2011. Perché il sisma, soprattutto nelle isole nipponiche, è una cosa seria. Chiunque lo ha provato, almeno una volta, sulla propria pelle. È un rischio concreto, imminente, a cui dedicare soldi e una specifica politica di sicurezza. Ve lo immaginate un governo che annuncia tagli alla spesa militare? Le esercitazioni missilistiche e i test nucleari nordcoreani (per non parlare della minaccia latente della Cina) non lo permetterebbero. Benché meno imminente del pericolo di un sisma, anche la minaccia militare nordcoreana è un rischio concreto, a cui dedicare soldi e una specifica politica di sicurezza. E il Global Warming? Evidentemente non è un pericolo così concreto, tantomeno imminente. Lo si affronta quando ce lo si può permettere, quando si hanno i soldi e il tempo per farlo, a mo’ di passatempo politico, giusto per dare un’immagine “progressista” al proprio governo. Evidentemente è più una moda che una minaccia. E il governo di Tokyo, dovendo affrontare ben altra emergenza energetica, è stato molto lieto di buttare alle ortiche gli onerosi impegni di Copenhagen e Kyoto.