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CONTINENTE NERO

Burkina Faso, sempre più terra di Jihad anti-cristiana

Nuova aggressione contro i cristiani nel Burkina Faso: fedeli in processione sono stati aggrediti, quattro le vittime. In Burkina Faso gli attacchi jihadisti sono passati da 12 nel 2016 a 33 nel 2017 a 158 nel 2018. Gli estremisti islamici del Sahara, affiliati ad Al Qaeda o all'Isis, guadagnano anche sui rapimenti, fra cui pure di italiani.

Libertà religiosa 15_05_2019
Burkina Faso, scolari in attesa di lezioni (altro bersaglio jihadista sono le scuole)

Dopo l’attacco il 12 maggio alla chiesa di Dablo, costato la vita a un sacerdote, don Simèon Yampa, e a cinque fedeli, dal Burkina Faso arriva la notizia di una nuova aggressione. Dalle prime informazioni, confermate telefonicamente ad Aiuto alla Chiesa che Soffre da monsignor Théophile Nare, vescovo di Kaya,sembra che nel pomeriggio del giorno successivo un gruppo di fedeli della parrocchia di Bam, diocesi di Ouahigouya, siano stati aggrediti mentre portavano in processione una statua della Madonna dal villaggio di Kayon a quello di Singa. Quattro sarebbero stati uccisi. “È chiaro che si vuole eliminare la presenza cristiana” afferma il presule che denuncia il moltiplicarsi degli attacchi anticristiani nell’area settentrionale del Paese.

Di don Yampa, il parroco di Dablo, ordinato sacerdote nel 2014 dice che tutti lo ricordano come una persona “umile, obbediente e piena d’amore”. Con la sua morte sale a tre il numero dei religiosi uccisi dall’inizio dell’anno. Il 28 aprile vittima di un attentato è stato un pastore protestante, ucciso a Silgadji insieme a cinque fedeli, sul sagrato della chiesa dove aveva appena finito di celebrare la messa domenicale e il 15 febbraio il missionario salesiano padre Antonio César Fernandez è stato ucciso insieme a quattro doganieri nei pressi della frontiera con il Togo. Inoltre il 17 marzo si sono perse le tracce di don Joël Yougbaré mentre stava tornando in parrocchia, a Djibo, dopo aver celebrato la messa in un villaggio poco lontano.

Padre Fernandez e don Yougbaré possono essere vittime di uno dei tanti episodi di violenza comune, aggrediti a scopo di rapina, ad esempio. Ma i religiosi e i fedeli attaccati in chiesa sono stati uccisi perché cristiani, per realizzare un progetto jihadista di conquista e sottomissione all’islam di territori “contaminati” dalla presenza di infedeli e di musulmani non abbastanza devoti. Anche diversi imam infatti sono stati oggetto di minacce e attentati perché accusati di essere “deboli nella fede”. Sistematicamente sotto tiro inoltre sono ormai scuole e insegnanti perché i jihadisti deplorano l’istruzione “occidentale”. Incendiano le scuole, uccidono gli insegnanti. Il risultato è che nel 2018 nelle regioni Nord, Sahel ed Est, al confine con Mali e Niger, hanno chiuso 1.111 scuole su 2.869 e molte di quelle ancora aperte quasi non hanno allievi perché i genitori hanno paura di mandare i figli a scuola. Oltre 150.000 ragazzi non sanno quando potranno riprendere gli studi.

Si ritiene che responsabili di molti attacchi sia il gruppo jihadista Ansarul Islam, attivo nel nord. Ma in quei territori, tra Mali, Niger e Burkina Faso, operano altri gruppi armati, alcuni legati ad al Qaida, come il Macina Liberation Front, altri all’Isis, come l’ISGS, Islamic State in the Greater Sahara, responsabile del rapimento nel 2011 della cooperante italiana Rossella Urru, prigioniera dei jihadisti per nove mesi insieme ad alcuni colleghi. Uno dei mezzi di finanziamento dei gruppi armati sono in effetti i rapimenti a scopo di ricatto, soprattutto di turisti e dipendenti di imprese straniere. A gennaio è stato sequestrato un ingegnere canadese, vice presidente di una società, la Progress Minerals. A metà dicembre del 2018 era stato rapito l’italiano Luca Tacchetto, in vacanza con la compagna Edith Blais. A volte i rapimenti finiscono male, spesso durano mesi se non anni durante i quali le vittime passano da un gruppo a un altro e da un paese all’altro mentre si tratta l’importo del riscatto. A rendere difficile liberarli concorrono due fattori decisivi: l’inaffidabilità delle truppe governative, poco disposte a impegnarsi in inseguimenti e rischiose operazioni militari, e la facilità con cui i jihadisti e in generale i gruppi criminali riescono a far perdere le stracce spostandosi oltre confine. Sembra ad esempio che padre Pierluigi Maccalli, rapito in Niger nel settembre del 2018, sia stato trasferito quasi subito in Burkina Faso, mentre Tacchetto e la sua compagna potrebbero trovarsi in Mali. Proprio il sospetto che degli ostaggi francesi rapiti nel Benin e portati in Burkina Faso stessero per essere trasferiti in Mali e ceduti al Macina Liberation Front ha indotto la Francia a far intervenire le truppe della sua Operazione Barkhane, nel Sahel dal 2014 per combattere i jihadisti. Il 10 maggio è stata lanciata una operazione che ha portato alla liberazione anche di due altri ostaggi, una donna statunitense e una sudcoreana, ma è costato la vita a due militari francesi.

Di come affrontare questa difficile situazione discutono dal 13 al 20 maggio i vescovi delle conferenze nazionali e interterritoriali dell'Africa occidentale riuniti nella capitale Ouagadougou per la loro Terza Assemblea Plenaria. Ne ha parlato all’agenzia Fides il missionario della SMA, padre Donald Zagore: “oggi più che mai la Chiesa dell'Africa occidentale, attraverso i Vescovi, vuole mostrare al mondo che i cristiani del Burkina non sono e non saranno mai soli in questa lotta contro l'estremismo religioso. La lotta sarà vinta perché restiamo vivamente consapevoli del fatto che il male, qualunque sia il suo contenuto, non avrà l'ultima parola nella nostra vita. Ma non possiamo affrontare questa sfida se i nostri governi non saranno coinvolti in modo concreto ed efficace. E’ tempo che i nostri governi della regione si uniscano veramente, dispiegando i mezzi necessari per mettere fine a questa tragedia umana. Nell'unità e nella solidarietà supereremo l'estremismo religioso”.

In Burkina Faso gli attacchi jihadisti sono passati da 12 nel 2016 a 33 nel 2017 a 158 nel 2018.