Buio fitto sul mistero dell'aereo scomparso
Due esperti di aviazione, il generale Leonardo Tricarico e il professor Gregory Alegi, commentano la scomparsa, nell'Oceano Indiano, del volo MH370 della Malaysian Airlines, decollato l'8 marzo alla volta di Pechino e mai più rintracciato.
La Malesia non abbandonerà le ricerche del volo MH370 scomparso misteriosamente l'8 marzo scorso. Lo ha detto ieri il primo ministro malese Najib Razak cercando di rassicurare le famiglie delle 239 persone che si trovavano a bordo del Boeing 777. Razak ha parlato della vicenda in una conferenza stampa congiunta con il premier australiano Tony Abbott a Perth, dove si trova il centro di coordinamento delle ricerche concentrate sull'Oceano Indiano meridionale, in un'area di 221mila chilometri quadrati a 1.500 chilometri a ovest di Perth. Ma l’aereo è veramente caduto in quelle acque?
Finora non un singolo frammento del Boeing 777 della Malaysia Airlines è stato recuperato ma le ricerche hanno preso il via oltre dieci giorni dopo la scomparsa dell’aereo ed è plausibile che l’Oceano abbia inghiottito ogni frammento del velivolo. Entro breve si esaurirà anche la batteria che consente alla scatola nera del velivolo di emettere un segnale di riconoscimento che potrebbe consentirne il recupero. Senza scatola nera sarà impossibile risalire alle cause dell’incidente, ammesso che di incidente si sia trattato considerato che il velivolo avrebbe dovuto volare da Kuala Lumpur a Pechino, verso nord, non verso sud ed è scomparso mentre sorvolava il mare a sud del Vietnam.
Una nave della marina australiana con a bordo un particolare dispositivo fornito dagli Stati Uniti sta raggiungendo l’area delle ricerche per localizzare la scatola nera il cui localizzatore dovrebbe funzionare per un mese. Il ministro australiano della Difesa David Johnston ha ammesso che vi sono poche probabilità che venga recuperata ma non vi sono neppure certezze che l’aereo sia caduto proprio in quella zona. Il ministro malaysiano della Difesa e dei Trasporti Hishammuddin Hussein ha detto che «non stiamo nascondendo nulla, ma stiamo solo seguendo le procedure fissate». Però si moltiplicano le critiche per la gestione dell'emergenza da parte di Kuala Lumpur, in particolare dai parenti delle vittime cinesi che accusano il governo di incompetenza o persino di coprire eventuali errori e responsabilità.
Le compagnie di assicurazione hanno elaborato le prime stime dei danni da risarcire ai familiari che ammontano a 450 milioni di dollari secondo le stime di Standard & Poor's, ma l’assenza di spiegazioni lascia aperte molte domande e lascia spazio a molte speculazioni. Possibile che con la fitta presenza di satelliti di almeno una decina di Paesi che setacciano il territorio asiatico nessuno abbia visto l’aereo malese. Possibile che un aereo di quelle dimensioni possa volare fuori rotta per sette ore senza che nessuno lo noti?
Il generale Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica e oggi presidente della Fondazione ICSA sottolinea l’assenza di elementi certi su cui basare un’analisi ma sottolinea due elementi. «Credo che sia da evidenziare la personalità a dir poco curiosa del comandante del velivolo, un professionista che tiene in casa un simulatore di volo come farebbe un appassionato di volo che sogna di fare il pilota».
Tricarico suggerisce poi di non tralasciare l’ipotesi che «il silenzio radio e la rotta così lontana da quella prevista possano essere dovute all’utilizzo di sistemi informatici che hanno assunto il controllo del sistema di guida del velivolo. Gli iraniani utilizzarono un sistema simile per assumere il controllo, deviare e far atterrare il velivolo teleguidato spia statunitense Sentinel che sorvolava i siti nucleari di Teheran».
Per Gregory Alegi, docente di Storia dell'Aeronautica presso l'Accademia Aeronautica e di Aviation Management presso la LUISS Business School «speculare su dati incompleti o fatti filtrare ad arte - come nelle varie ipotesi politiche legate alla presunta simpatia del pilota per l'opposizione al governo malese - non serve a nulla e contribuisce solo a creare confusione difficile da rimuovere. La verità sarà senz'altro comprese tra le cinquanta diverse teorie avanzate ma per capire quale bisognerà attendere di avere i risultati di un'indagine tecnica secondo gli standard internazionali. Le notizie giornalistiche, purtroppo, sono un'altra cosa. Gli scenari fantastici ipotizzati sul caso Transaven, l'aereo di Missoni, poi ritrovato, dovrebbero indurre a maggior cautela».
Scettico di fronte alle numerose ipotesi ventilate dai media, Alegi ammette che «il caso resta senz'altro misterioso e indecifrabile, almeno sulla base dei dati resi pubblici». La vicenda del Boeing 777 malese qualche “lezione” l’ha già impartita. «La prima riguarda la tracciabilità dei voli mediante sistemi satellitari: la tecnologia esiste ma le informazioni sono inviate in pacchetti occasionali anziché in continuo per risparmiare sul costo del collegamento satellitare. La seconda riguarda la pretesa di ottenere risposte complete dai tracciati radar, che possono indicare i punti geografici ma non le cause di una sparizione».
Alegi non risparmia critiche alla gestione dei soccorsi. «Come in tutte le situazioni di emergenza, le prime 24-48 ore sono cruciali per trovare evidenze fresche e in grado di dire qualcosa di utile. Spiace dirlo, ma non sembra che le procedure e i metodi adottati dalle autorità malesi siano stati all'altezza della situazione e degli standard dei paesi aeronauticamente più avanzati. Non è neppure chiaro se in Malesia vi sia un'agenzia indipendente di investigazioni tecniche (come richiesto dall'International Civil Aviation Organization e adottato in Italia nel 1999 con la creazione dell'Agenzia Nazionale per l Sicurezza del Volo) o si proceda con commissioni ad hoc legate magari agli stessi soggetti che avrebbero potuto avere responsabilità nel caso come compagnia aerea, manutentori terzi, autorità aeronautiche, autorità di sicurezza e altri. Le interferenze politico-governative sono molto dannose ai fini della ricerca della causalità tecnica, così come quelle giudiziarie».