SPORT
Buffon e Prandelli, un calcio alla moralità
A essere inaccettabile non è tanto il gesto antisportivo in campo, quanto la sua teorizzazione nel dopo-partita. E anche il c.t. della Nazionale ci casca.
Attualità
29_02_2012
Sulle dichiarazioni del portiere della Juventus e della Nazionale, Gianluigi Buffon, dopo l’avvelenato Milan-Juventus di sabato scorso, si è già detto di tutto. La svista di assistente e arbitro, incapaci di vedere la palla entrata di almeno un metro nella rete della Juventus, ha del clamoroso ma Buffon è finito al centro delle polemiche per aver dichiarato che lui non si era reso conto e che se anche si fosse reso conto non avrebbe “aiutato” l’arbitro.
Commentatori e opinionisti si sono divisi: chi condanna Buffon per la sua antisportività, chi lo assolve per la sua sincerità e mancanza di ipocrisia, chi molto più semplicemente fa notare che si comporta da perfetto italiano, che cerca sempre di fregare l’autorità costituita. E c’è anche chi fa notare che nella serata di Milan-Juventus di comportamenti antisportivi se ne sono visti molti, dai dirigenti, agli allenatori fino agli uomini in campo.
Proprio quest’ultima notazione, però, ci può aiutare a comprendere meglio la gravità delle dichiarazioni di Buffon. Di comportamenti scorretti e antisportivi, purtroppo, è piena la cronaca degli incontri di calcio e sicuramente tra i protagonisti di Milan-Juventus non c’è che da scegliere. Ma un conto è una scorrettezza, un conto è teorizzarla. E sta proprio qui la differenza, la peculiarità del caso Buffon.
Il portiere della Juventus non ha riconosciuto ciò che non poteva non essergli evidente (il pallone in rete), ma questo può anche essere perdonato, si può capire che in certi momenti di grande tensione agonistica non si abbiano quelle forze morali per fare la cosa giusta. Anche San Paolo riconosce che non riesce a fare il bene che vuole e fa invece il male che non vuole. Ed è anche quello che confessiamo noi quando ci accostiamo al sacramento della Riconciliazione.
Il problema vero nasce quando l’errore, l’ingiustizia, il peccato vengono teorizzati, quando si dice che è giusto che sia così. Quando il male, solo per il fatto di esserci, diventa un bene. E addirittura questa viene fatta passare per sincerità e mancanza di ipocrisia.
Dal punto di vista educativo è devastante: pensate all’effetto che può avere su un ragazzino che gioca a pallone nella squadra della sua zona e che sogna di diventare un calciatore da grande, sentire il calciatore famoso, addirittura il capitano della Nazionale, dire che in campo è giusto cercare di ingannare l’arbitro. Ci si potrà poi stupire se quel ragazzino, in campo, penserà di essere nel giusto simulando di aver subito colpi proibiti; tuffandosi in area senza essere toccato per guadagnarsi un rigore; o, non visto, assestando un calcione al suo avversario?
E’ un po’ come se un padre o una madre si vantassero davanti ai figli di frodare lo Stato o di rubare ai propri clienti, e anzi insegnassero loro i trucchetti del mestiere per fare lo stesso. Che tipo di società ci si potrebbe aspettare se padri e madri si comportassero generalmente così?
Purtroppo non è la prima volta che Buffon si lascia andare a dichiarazioni infelici, sempre osannato dai giornalisti sportivi per la sua schiettezza (come se un’idiozia diventasse una cosa saggia solo per il fatto di essere esibita). E certo, Buffon non è il solo a pensarla così. Lo si sente in questi giorni e ricordo negli anni passati di aver sentito allenatori vantarsi di insegnare ai propri giocatori a tuffarsi in area avversaria. Ma non è tollerabile che il capitano della Nazionale dia questo esempio.
Purtroppo peggio di lui, molto peggio, ha fatto in questa occasione l’allenatore della Nazionale italiana di calcio, Cesare Prandelli, universalmente riconosciuto per la sua correttezza e per il suo equilibrio. Prandelli ha anche introdotto un codice etico nella Nazionale, e in occasione dell’impegno dei prossimi giorni ne hanno fatto le spese Balotelli e Osvaldo, per le loro intemperanze in campo. Ma su Buffon ha anche lui sorprendentemente dichiarato che non si può chiedere a un giocatore di “aiutare” l’arbitro, giustificando anche le dichiarazioni post-partita del capitano.
Si può capire l’imbarazzo del commissario tecnico per questa vicenda, o l’intenzione di stemperare le tensioni e le polemiche, ma l’immoralità non è mai la soluzione.