Bufera per un'insegnante lesbica mai licenziata
"Un'insegnante lesbica licenziata da una scuola cattolica di Trento". Ed è subito bufera, mediatica e politica, contro la discriminazione. Peccato che l'insegnante in questione non sia mai stata licenziata. E che una scuola paritaria cattolica avrebbe tutto il diritto di licenziarla, anche a norma di legge, in base ai suoi valori educativi.
Non si sa più da dove partire: se dalla constatazione, ormai sempre più chiara, del fatto che “gay e lesbiche sono più uguali degli altri”, o se da alcune inevitabili considerazioni sulla scarsa serietà con cui molti giornali compiono il loro dannato mestiere, attenti più alle loro battaglie ideologiche o allo scoop ad ogni costo, che al rispetto della verità, dei fatti, e delle persone. Mi riferisco alla vicenda dell'insegnante lesbica “licenziata” da una scuola cattolica trentina in ragione delle sue preferenze sessuali.
Partiamo dal secondo fatto. Un giornale un tempo “moderato”, il quotidiano l’Adige, diretto da un giornalista “cattolico”, sbatte in prima pagina la notizia: “Insegnante del Sacro Cuore licenziata perché lesbica”. In verità il contenuto dell’articolo smentisce il titolo stesso. È l’insegnante in causa, infatti, a rispondere alla domanda “E quando le è stato comunicato che il contratto non sarebbe stato rinnovato?”, in questo modo: «Dopo la conclusione della scuola. Ma in realtà non si tratta di un mancato rinnovo perché semplicemente era scaduto quello in essere. Quindi non c'era nemmeno la necessità di una comunicazione da parte della scuola, visto che la rescissione sarebbe stata implicita. Invece sono stata chiamata per un colloquio». (L’Adige, 18 luglio 2014).
Dunque: l’insegnante non è stata affatto licenziata. Non le è stato rinnovato il contratto, che era scaduto: cosa ben diversa! Tanto più che, come si viene a sapere da un comunicato della scuola stessa, l’insegnante lesbica non è l’unica a patire il momento di crisi: altri insegnanti, volgarmente “etero”, hanno perso il lavoro, o si sono visti ridurre il monte ore settimanale, causa il calo di iscritti. Vicenda di questi tempi molto comune, soprattutto nelle cosiddette scuole paritarie.
Ma qual è la reazione immediata del giornalista collettivo? La notizia fasulla, il presunto licenziamento, rimbalza di giornale in giornale, di tv in tv. Solo qualcuno specifica che non di licenziamento si è trattato, ma di mancato rinnovo. Si chiede l’intervento del governatore della Provincia, quello del ministro Giannini…e chi più ne ha più ne metta. Lo si fa sapendo bene che non ci sarà mai l’intervento di chi sarebbe, in questa vicenda, competente: la magistratura. Infatti, non lo si può dire, ma tutti lo sanno: non è stata compiuta alcuna irregolarità. Non è stata violata alcuna legge. Non è stato tradito nessun contratto. Bisogna alzare tanta polvere, per nascondere questo inequivocabile fatto.
Il vertice della confusione ideologica viene raggiunto dal locale assessore provinciale del Pd, Sara Ferrari. Dimostrando competenze giuridiche veramente sbalorditive, in un articolo comparso sul quotidiano locale Il Trentino, dal titolo, ancora una volta depistante ("Prof licenziata perché lesbica? Se vero, un fatto gravissimo"), afferma: «Le dichiarazioni dell'insegnante del Sacro Cuore riportate dalla stampa, secondo le quali non le sarebbe stato concesso il rinnovo del contratto per colpa del proprio orientamento sessuale meritano una riflessione. Ricordo che l'ordinamento italiano vieta licenziamenti discriminatori basati sull'orientamento sessuale del lavoratore. Anche se un mancato rinnovo non è un 'licenziamento’ il principio è il medesimo».
Eppure la differenza tra un licenziamento e il mancato rinnovo di un contratto, è evidente. Quanto poi alle motivazioni di quel mancato rinnovo, Sara Ferrari, come tanti politici e giornalisti nazionali, non ha dubbi: nessuno spazio alle considerazioni della scuola; credito totale alle parole della “lesbica” che, dopo alcuni anni in una scuola dove si è trovata, a suo dire, molto bene, non esita a scatenarle contro la bufera mediatica.
Il fatto è, come si diceva, che gay e lesbiche sono ormai “più uguali degli altri”. Cosa sarebbe successo se a non venire nuovamente assunta fosse stata una madre di famiglia? Nulla. In assenza di violazione della legge, nessuno avrebbe eccepito. E la motivazione ufficiale sarebbe stata accolta: “si sa, le scuole paritarie chiudono una classe alla volta, e i posti di lavoro vengono a mancare…”.
Ma c’è un ultimo punto da trattare. Ipotizziamo, perché nessuno lo sa, che il mancato rinnovo sia stato dovuto anche all’omosessualità dell’insegnante; ad una omosessualità in qualche modo dichiarata e ostentata (altrimenti chi la avrebbe notata?), con relative lamentele di qualche genitore ancora convinto che le parole della Genesi “maschio e femmina Dio li creò” abbiano un valore.
Non ha forse il diritto un ente privato di assumere chi ritiene opportuno? In ossequio ai principi da cui è nato e a cui si richiama? Espressi chiaramente nel contratto, per di più! Giustamente un lettore, commentando un articolo a sostegno dell’insegnante pubblicato dell’Huffington Post (quello che per difendere i matrimoni gay, difende l’utero in affitto), ha ricordato anzitutto che non vi è stato alcun licenziamento, per poi chiosare: «Ma anche se fosse stato un licenziamento, sarebbe comunque stato legittimo. Perché istituzioni religiose, sindacati, partiti sono considerati "Imprese di tendenza" e non sono soggetti, in materia di licenziamenti individuali, allo Statuto dei Lavoratori. Vedi Art.4 1° Comma della Legge 11 maggio 1990, n. 108. Per spiegarmi meglio, sarebbe come se la Lista Tsipras (che ha suscitato tutto il casino) fosse obbligata a rinnovare un contratto ad un collaboratore esterno anche dopo aver scoperto che lo stesso è, che so, militante di Casa Pound. Le discriminazioni esistono, e non colpiscono certo solo i gay, ma non per questo è il caso di inventarle strumentalmente dove non ci sono».
Si potrebbe dire di più: 1) un insegnante che non condivide determinati valori sui quali un’opera educativa si fonda, sarebbe certamente più coerente se cercasse lavoro altrove; 2) una scuola che si presenta come cattolica, e che viene scelta da molti genitori, a prezzo di sacrificio, anche per i valori che intende veicolare, ha il dovere, verso i suoi “clienti”, di assumere docenti che siano per vita e convinzioni morali coerenti, nei limiti della nostra umana fragilità, con la mission della scuola in cui insegnano.
Al Fatto quotidiano e a Repubblica, specialisti nella polemica contro le scuole paritarie, si chiede: assumete forse voi, tra i vostri giornalisti, persone che non condividano la vostra visione ideologica? Persone che avversino la visione politica del vostro editore? No. E allora finiamola. Tanto più che si finge di fare una battaglia in nome della libertà, quando è proprio contro la libertà di opinione (quella, in questo caso, di chi la scuola la ha fondata e la dirige) che si sta lottando con ogni mezzo.
Un’ultima considerazione: il caso, come tanti altri, è destinato a sgonfiarsi. Perché tutto è in regola. Ma la speranza della lista Tsipras e dei movimenti gay è che il mondo cattolico si faccia ancora una volta intimorire. Sarebbe un disastro, una Caporetto. Perché se oggi si cede di fronte alle calunnie, domani mattina si cederà di fronte ai movimenti LGBT che vogliono insegnare sesso precoce ai bambini negli asili, anche cattolici, e domani sera si dichiarerà che sì, in fondo è giusto che due gay comperino un ovulo da una donna, affittino l'utero di una povera indiana, e si producano un bambino. Per legge. Con regolare contratto. Di nove mesi. Al termine del quale la donna-contenitore sarà regolarmente “licenziata”.