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UE

Brexit, accordo a sorpresa. Ma resta il nodo irlandese

A Bruxelles un accordo sulla Brexit pare, di nuovo, a portata di mano, dopo che era apparso una missione impossibile. Ma a Londra gli Unionisti nordirlandesi annunciano battaglia: temono di essere fagocitati dall'Ue, dunque dalla Repubblica di Irlanda.

Esteri 18_10_2019
"Unità irlandese, soluzione alla Brexit"

A Bruxelles un accordo sulla Brexit pareva impossibile fino alla settimana scorsa, mentre ora pare già, di nuovo, a portata di mano. Tutta la retorica di Johnson sull’uscita dall’Ue a tutti i costi, anche senza accordo, alla fine serviva solo a questo: ottenere un nuovo accordo in tempi rapidi, entro la data prevista del “divorzio” il 31 ottobre. Ma, potrebbero esserci ulteriori colpi di scena.

Nel colloquio fra Boris Johnson e Donald Tusk (presidente del Consiglio europeo), entrambe le parti sono giunte alla conclusione che le condizioni proposte dal premier conservatore britannico, inclusa una soluzione alla questione nordirlandese, siano quantomeno ragionevoli. Il problema adesso sarà quello di farle accettare dal Parlamento Europeo, ma soprattutto da quello britannico. E mentre al Parlamento Europeo non dovrebbero incontrarsi problemi insormontabili, in quello britannico il Partito Unionista Democratico nordirlandese promette di opporsi al patto “alle condizioni attuali”. Perché gli Unionisti, che parevano co-autori della bozza di accordo, adesso diventano i maggiori oppositori?

Innanzitutto, è bene fare un passo indietro: l’accordo avanzato dal precedente governo May era stato bocciato dal Parlamento proprio perché non dava una soluzione alla questione nordirlandese ritenuta soddisfacente dagli Unionisti e da gran parte dei Conservatori. Allora il pomo della discordia era costituito dalla nuova frontiera: per mantenere aperto il confine fra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda (ed evitare possibili ricadute del pluri-decennale conflitto irlandese), la May aveva accettato di mantenere tutto il Regno Unito, almeno “temporaneamente”, nell’Unione doganale (europea) e l’Irlanda del Nord anche nel Mercato Comune. La permanenza del Regno Unito nell’Unione doganale aveva suscitato l’opposizione dei Conservatori, mentre il differente regime di regolamentazione commerciale, che avrebbe di fatto separato l’Irlanda del Nord dal resto del Regno, era il motivo di opposizione degli Unionisti.

Il piano di Johnson propone di risolvere il problema della frontiera facendo uscire tutto il Regno Unito dall’Unione doganale e mantenendo temporaneamente l’Irlanda del Nord, che ha l’unico confine di terra con l’Ue (di cui la Repubblica di Irlanda è membro), nel regime del Mercato comune. La permanenza nel Mercato comune resta però vincolata a una decisione democratica locale: sarà l’Assemblea nordirlandese a votare, a maggioranza semplice, ogni quattro anni, se restare nel Mercato comune o uscirne. Soluzione di compromesso anche per il transito di merci che sono destinate ad altri Paesi membri dell’Ue: sarà sempre il Regno Unito a raccogliere le tariffe doganali per conto dell’Ue. Quanto alla sicurezza delle merci (perché i regolamenti di Regno Unito e Ue tenderanno inevitabilmente a divergere) deciderà una commissione mista. Se è impossibile ottenere la soluzione da “botte piena e moglie ubriaca” (in questo caso: frontiera aperta e uscita dall’Unione doganale), la bozza di accordo di Johnson ci si avvicina quanto più possibile. Ora però, iniziano i problemi.

I motivi di contestazione degli Unionisti, che potrebbero far saltare l’accordo in Parlamento, sono due: no ai controlli europei sulle merci e no alla votazione a maggioranza semplice per il rinnovo della permanenza nel Mercato comune europeo. E’ soprattutto il secondo punto che rende viscerale l’opposizione degli Unionisti. L’Assemblea nordirlandese, che è nata come uno degli strumenti di riconciliazione dopo gli Accordi del Venerdì Santo del 1998 (quelli che hanno posto fine alla trentennale guerra irlandese) ha sempre funzionato a maggioranza qualificata bi-partisan. Non solo serve la maggioranza, dunque, ma sia Unionisti che Repubblicani devono dare il loro assenso. Con un voto a maggioranza semplice, gli Unionisti temono di subire la maggioranza dei Repubblicani, che avrebbero tutto l’interesse a restare nel Mercato comune europeo nel breve periodo, per unificarsi alla Repubblica di Irlanda (secedendo dal Regno Unito) nel lungo periodo.

La questione irlandese, dunque, rischia di bloccare ancora una volta l’accordo sulla Brexit. Le altre faide intra-partitiche non aiutano: per ottenere una maggioranza, Johnson dovrebbe convincere anche i 23 deputati conservatori che ora siedono sui banchi del gruppo misto, 21 dei quali sono stati cacciati dal partito proprio da Boris Johnson. I partiti di opposizione, a partire dai Laburisti di Jeremy Corbyn, non mostrano alcuna intenzione di scendere a compromessi e faranno opposizione dura. Se il governo dovesse perdere anche questa votazione, che si terrà nella sessione straordinaria di domani, si aprirebbe un nuovo scontro: quello fra i Conservatori (fra cui Johnson stesso) che vogliono uscire comunque dall’Ue entro il 31 ottobre e tutte le opposizioni che, forti della Legge Benn (approvata a inizio settembre) vogliono un rinvio al prossimo 31 gennaio 2020. Una soluzione molto temuta dal governo, perché darebbe alle opposizioni tante nuove occasioni per mettere i bastoni fra le ruote della Brexit.