Brasile, un Mondiale all'insegna dell'ansia
Finalmente iniziano i Mondiali. E dobbiamo prepararci ad aver paura, perché ci sono mille modi in cui la festa potrebbe essere rovinata. A causa dei numerosi buchi organizzativi e rischi, è un Mondiale che si apre all'insegna dell'ansia.
Oggi, finalmente, inizia il Mondiale di Calcio. Per molti di noi è l’appuntamento sportivo più atteso, quasi una tappa esistenziale, da pregustare ogni quattro anni. Ma dobbiamo prepararci e abituarci all'ansia, perché ci sono molti modi per soffrire in un Mondiale. All’ultimo minuto possiamo essere precettati per vedere un film cecoslovacco, coi sottotitoli in tedesco, mentre l’Italia gioca, come capitava nel celeberrimo episodio di Fantozzi. Si può rompere l’antenna (o interrompere la connessione) al momento del gol. O semplicemente una partita di semi-finale o finale può finire ai rigori, come ci è toccato nel 2006. E allora è un’esperienza da infarto. Molti modi per soffrire, dicevamo. Ma almeno sia un bello spettacolo, impeccabile e rassicurante nella sua organizzazione. E invece proprio l’organizzazione brasiliana potrebbe aggiungere il carico di molte sofferenze in più, sia per i tifosi più intraprendenti che hanno preso il coraggio a due mani per andare in Brasile, sia per quelli che rimarranno a casa.
Il Brasile ha già vinto la coppa dei ritardi, come hanno già scritto in tanti, tra l’indignato e il divertito. Ci sono ben sei aeroporti che non sono stati ultimati. Il caso più eclatante è quello del nuovo scalo aereo di Porto Alegre, che non è una città qualunque ma meta di summit internazionali già da un pezzo. I lavori, laggiù, sono da considerarsi appena iniziati. In questi cinque anni, dall’assegnazione del Mondiale ad oggi, non si sa che cosa abbiano fatto. Anche l’aeroporto di Fortaleza risulta completato al 15%, non di più. Sempre a proposito di trasporti, la linea ad alta velocità che avrebbe dovuto collegare Sao Paulo a Rio de Janeiro è rimasta sulla carta. E sarà difficilissimo spostarsi da una città all’altra solo in aereo (aeroporti permettendo), per un campionato che è stato criticato anche per essere stato spalmato su un numero esagerato di città, in un Paese grande tre volte l’Europa. Gli stadi, almeno, sono pronti? Non tutti: quattro risultano ancora in fase di allestimento. E poi ci sono gli incidenti: almeno una decina di operai sono morti, uno l’altro ieri per il crollo della monorotaia (altro lavoro non terminato) di Sao Paulo.
Ma soprattutto non è neppure detto che ci lascino giocare in pace. La criminalità è un’incognita tremenda. A Rio ci sono 13 omicidi al giorno, di media. Ora assicurano che “le favelas sono sicure quanto Copacabana”, il paradiso dei turisti. Sarà vero? Con tutte le proteste che ci sono state, che vanno avanti da un anno, e gli scioperi attuati e minacciati e le paure di infiltrazioni di black bloc, rivoluzionari di professione e terroristi d’occasione, chi può serenamente chiudere occhio? La protesta brasiliana ha basi solide: è il Mondiale più costoso di sempre, il meno efficiente di tutti, organizzato da un governo socialista che aveva promesso una casa ai senzatetto, più fondi all’istruzione e una terra ai senza-terra. Ora gli insegnanti, i senza-tetto e i senza-terra sono furiosi, perché hanno sottratto loro risorse per stadi, aeroporti e ferrovie mai terminati o addirittura mai iniziati. In questi dodici mesi, media e social network hanno pompato tantissimo le notizie sulle proteste, sulla vera e propria sollevazione anti-Mondiale, sulla corruzione e la dura repressione poliziesca, sulle baraccopoli sgomberate per far posto alle grandi opere e sulle favelas ripulite. Sono circolate anche tante bufale, come le foto dei bambini ammazzati in massa “dalla polizia”, già smentite, ma ancora credute da molti internettari. E con che spirito ci metteremo a guardare la Nazionale con tutto questo orrore sulla coscienza? E se, poi, non vedessimo quel che dovremmo vedere? Se le trasmissioni dovessero crollare al momento “buono”? Non è un’ipotesi fantascientifica: intanto, quattro giorni fa, è già saltato il collegamento Rai col Brasile per l'amichevole pre-mondiale Italia-Fluminense e i telespettatori si sono persi due gol. Fra i media center progettati e mai costruiti e le reti internet e cellulare tuttora piene di buchi e aree senza campo, non è da escludere neppure qualche altro problema di questo genere. Altro che film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco: al posto della partita potremmo pure rischiare di vedere uno schermo muto e vuoto.
Non si tratta di luoghi comuni, né di “calunnie” dei media della concorrenza. Il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) ha preso ben nota di tutte le difficoltà incontrate dalla Fifa nell’organizzazione di questi Mondiali e ha preparato un piano B per le Olimpiadi. Nel 2016 potrebbero essere trasferite da Rio (dove solo il 10% dei lavori di preparazione è stato completato) a Londra, dove almeno si sono già giocate e il grosso delle strutture deve essere semplicemente riadattato. Resta in sospeso una domanda, allora: perché nel 2009 è stato selezionato il Brasile? Sono tante le domande da porsi sulle scelte della Fifa (e anche del Cio), basti pensare alla scelta del Qatar per i mondiali del 2022: si giocherà negli stadi con aria condizionata, per non morire di caldo sugli spalti e in campo. Le scelte degli organismi mondiali sportivi appaiono più politiche che pratiche, scambi di favore, decisioni prese a tavolino col portafogli in vista: la scelta del Qatar è sotto inchiesta, potrebbe esserci sotto un immenso scandalo corruzione per una presunta tangente da 5 milioni di dollari.
Mazzette a parte, le scelte vengono formulate anche in base a miti politici ben consolidati, il primo dei quali vuole che un grande evento sportivo generi necessariamente sviluppo economico. Questo principio è vero finché non si scontra con due incognite raramente prese in considerazione dalla macroeconomia: la burocrazia e la corruzione. Queste due incognite hanno reso le Olimpiadi del 2004 nel colpo di grazia per la già fragile economia della Grecia: spese impazzite, sprechi, debiti e cattedrali nel deserto sono da annoverarsi fra le cause della grande crisi iniziata nel 2008 e tuttora in corso. I Mondiali e forse anche le Olimpiadi 2016 (sempre che si facciano a Rio) potrebbero infliggere al Brasile danni altrettanto gravi. Perché la burocrazia del Paese sudamericano lusofono è elefantiaca, come hanno potuto constatare, lamentandosene, i dirigenti della Fifa: tre livelli di governo con cui rinegoziare ogni dettaglio, con scadenze mai rispettate. Quanto alla corruzione, il Brasile è considerato, da Transparency International, al 72mo posto, a pari merito con Bosnia, Serbia e Sud Africa (non possiamo rallegrarci neppure noi: l’Italia è al 69mo posto e la Grecia all’80mo, giusto per fare paragoni), comunque ben lontano dagli standard delle più affidabili economie di mercato. In queste condizioni, l’iniezione di denaro pubblico in uno spettacolo mondiale, rischia di essere solo uno spreco e non un’opportunità.